l'agire umano. Sottolineandone l'importanza antropologica, essa esclude tuttavia ogni riferimento ad altre due concezioni che hanno nel passato valorizzato il significato del lavoro, e cioè il «lavorismo» e il «produttivismo», i quali, partendo da opposti presupposti ideologici, finivano per prospettare una superiorità del lavoro sulla persona. La nuova cultura del lavoro, che l'Enciclica sottolinea, nasce dalla constatazione che, oggi come non mai, la produzione si deve misurare con una domanda sempre nuova, con l'esigenza di soddisfare sempre nuovi bisogni. Inoltre, l'introduzione e lo sviluppo delle nuove tecnologie, con i processi di ristrutturazione del lavoro che richiedono, con la rapidità di adattamento e riconversione che esigono, possono indurre processi di devastazione delle risorse umane, isolando, all'interno dei processi produttivi l'individuo con i suoi problemi e allontanando sempre di più gli uni dagli altri. Giustamente dunque, l'Enciclica, oltre a richiamare il diritto di ogni uomo al lavoro, mette in evidenza come sempre più sarebbe necessario che agli uomini venga chiesto di lavorare assieme agli altri, in collaborazione con gli altri. Il lavoro sempre più deve diventare un «lavoro sociale». Conoscenza, tecniche, sapere, infatti, non possono essere considerati proprietà individuali, ma proprietà universali. Esattamente come la terra e i beni che essa racchiude, essi hanno una destinazione universale di cui nessuno può pretendere di appropriarsi in via definitiva, senza sconvolgere l'ordine naturale delle cose. E ciò perché essi rappresentano la maggiorerisorsa produttiva del mondo contemporaneo. Conoscenza, tecniche, saperesono beni da utilizzare con gli altri e per gli altri e non strumenti di esclusione e di emarginazione. È dunque necessarioche tutti gli uomini siano aiutati «ad acquisire le conoscenze, ad entrare nel circolo delle interconnessioni, a sviluppare le loro attitudini per valorizzareal meglio capacità e risorse» (n. 31). In questo senso, anche i sindacati non sonochiamati soltanto a tutelare gli in- ~JJ.BIANCO '-Xli.ROSSO liti@Oltl teressi economici dei lavoratori. Lungi dal ridimensionare la sua azione, il sindacato deve saper interpretare gli interessi generali non solo dei lavoratori, ma dell'intera società, componendoli in una proposta di sviluppo e di benessere generale; deve prefiggersi di rendere protagonisti i lavoratori anche sul piano politico; deve preoccuparsi non solo di essere soggetto della contrattazione, ma di promuovere soprattutto una vera cultura del lavoro; deve farsi carico di tutti i problemi connessi con lo sviluppo della soggettività operaria. Nel medesimo tempo, il sindacato deve rappresentare uno spazio, un «luogo», dove la personalità dei lavoratori possa liberamente e pienamente esprimersi per produrre politica, cultura, servizi. Tutto ciò si configura come una diretta conseguenza del primordiale diritto al lavoro. Da esso la maggior parte della popolazione è esclusa o ne usufruisce in misura troppo limitata. È questo un problema che i paesi economicamente più avanzati devono affrontare all'interno di una logica meno predatoria, più solidaristica e più lungimirante di quanto sia avvenuto nel passato. A tale proposito, l'Enciclica sottolinea l'urgenza di una decisione orientata a promuovere uno sviluppo più armonioso e ne indica anche la via: una politica di concertazione a livello mondiale. Bisogna quindi prevedere, attraverso politiche di concertazione, il sacrificio di alcune posizioni di rendita e di potere, di cui si avvantaggiano ora le economie più sviluppate, a favore delle economie più povere. Ciò comporta, da parte dei paesi più ricchi, una riduzione, sia quantitativa che qualitativa, dell'offerta di beni, e quindi, un contenimento della domanda globale, inducendo beni e, quindi, un contenimento della domanda globale, inducendo cambiamenti negli stili di vita consolidata, in modo che a tutti sia assicurato il necessario, pur avendo pochi un po' di superfluo in meno. Ciò, peraltro, consentirà, da una parte, di limitare l'attuale spreco di risorse materiali, ambientali e umane, e, dall'altro, di valorizzare le risorse materiali, ambientali e umane che i paesi in via di sviluppo posseggono, e di cui spesso sono depredati. Non è quindi questione di «aiuti», o soltanto di «aiuti». Si tratta invece di aiutare interi popoli ad entrare nel·circolo virtuoso dello sviluppo economico e culturale, cambiando i modelli occidentali di produzione e di consumo. E di conseguenza, da una parte, gli stili di vita cui è assuefatta la gente che vive nei paesi industrializzati dell'Occidente e, dall'altro, - come si esprime l'Enciclica - «le strutture consolidate del potere che oggi reggono le società». Questa visione incide inoltre sul concetto di proprietà privata, che nell'Enciclica subisce una vistosa, importante evoluzione. Ne pensiero di Giovanni Paolo Il, i limiti, i confini della proprietà privata sono definiti nel suo rapporto al lavoro. Essa si giustifica soltanto se viene dal lavoro e si pone al servizio del lavoro, per il progresso di ogni uomo: «La proprietà dei mezzi di produzione sia in campo industriale che agricolo è giusta e legittima, se serve ad un lavoro utile; diventa, invece, illegittima, quando non viene valorizzata o serve ad impedire il lavoro di altri, per ottenere un guadagno che non nasce dall'espansione globale del lavoro e della ricchezza sociale, ma piuttosto dalla loro compressione, dall'illecito sfruttamento, dalla speculazione e dalla rottura della solidarietà nel mondo del lavoro. Una tale proprietà non ha nessuna giustificazione e costituisce un abuso al cospetto di Dio e degli uomini.
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