Il bianco & il Rosso - anno II - n. 21/22 - ott./nov. 1991

i.l!L BIA!\CO lX.ltRos&> I uu.,'O il il L'etica è più importante di ogni mercato T utto sommato, niente male, è stato il commento fra l'ammirato, il sorpreso e, forse, l'invidioso che più ha accomunato i giudizi di singoli e di gruppi all'apparire dell'Enciclica · Centesimus Annus. Certo si sapeva della vitalità della Chiesa romana e si assisteva ormai da più di un decennio ad una serie eccezionale di successi sul fronte della competizione con il suo avversario secolare (comunismi e marxismi). Ma la sorpresa è stata comunque forte. Perché, una volta caduto l'avversario non si è limitata alla gestione, pur complessa e faticosa, del post-comunismo? Perché correre il rischio di sentirsi addebitare una posizione ambigua di «terza via», capace di scontentare tutti: i superstiti del naufragio comunista, desiderosi di gratificazioni immediate, da un lato, gli emissari del capitalismo «di soccorso», invocanti provvedimenti radicali di potenziamento degli «spiriti animali», dall'altro? Le risposte non sono mancate, ed in molti casi si sono rifatte alla personalità, ed alle radici culturali del pontefice, se non anche ad un rinnovato temporalismo. Sono ragioni di indubbio rilievo, per molti aspetti collegate l'una all'altra. Ma non mi sembrano determinanti a sufficienza. Opterei, con il rischio della ingenuità, per una ragione più semplice, ma più generale anche se un poco paradossale: il ritorno alla religione dopo un lungo periodo di impegno in prevalenza politico, con connesse la scelta del dubbio rispetto alle certezze e la volontà di proporre un riferimento etico di carattere universale. La lotta contro il comunismo è stata in primo luogo una lotta politica, ben calata nella storia. La competizione e la sfida con il capitalismo sono di spiccato carattere religioso. L'opposizione al socialismo di stato nasceva da una certezza, la critica al mercato nasce dal di Gian Primo Cella dubbio. Il messaggio etico-religioso dei decenni passati era sensibilmente differenziato, verso l'est e verso l'ovest; si notava semmai, almeno dalla Populorum Progressio, una sensibile specificità del messaggio verso il sud del mondo. Ma ora, come non mai, la pretesa è di rivolgersi alla convivenza socialenel suo insieme. Se queste sono le ragioni più determinanti, diventa lecito leggere e valutare l'Enciclica al di là dei comportamenti concreti della chiesa in singole realtà nazionali. Italia compresa. Quello che è in gioco è molto più ampio di alcuni tatticismi, così tipici della realtà italiana. Ed anche il discorso sul nuovo temporalismo non va esclusivamente dimensionato sui nostri, asfissianti e spesso sterili, conflitti politici. Il documento, allora, va considerato proprio come un testo di ispirazione religiosa con ambizioni di costituire un insieme di riferimenti etici di portata generale. Come tale, il documento si presta ad una lettura che va ben oltre il suo significato per la storia interna della chiesa. Sta in questo una sua diversità di fondo dalla Enciclica, la Rerum Novarum, di cui intende celebrare il centenario. L'importanza del documento di Leone XIII era soprattutto interna, segnava una presa di coscienza della curia romana, ma non poteva pretendere di erigersi come riferimento etico di portata universale: il movimento socialista era andato ben oltre e più a fondo nel denunciare le cause e i risvolti della «questione operaia» e dello sfruttamento capitalistico. Non solo, nello stesso mondo cattolico l'esperienza e il pensiero di un vescovo come von Ketteler, ad esempio, avevano mostrato una capacità più avanzata di interpretazione del nuovo. Una distanza pari a quella, mi venne notato in un lontano dibattito degli anni sessanta alla Università Cattolica a cui partecipai come studente, esistente fra le ciminiere di Magonza e le galline della diocesi di Anagni. Ma proprio per questo, sosteneva l'illustre e arguto prof essore autore della efficace osservazione, il valore del documento leonino andava apprezzato ed esaltato. Il lontano ricordo giovanile mi riporta alla mente un modo di valutazione di documenti di carattere etico o politico che non ho mai condiviso. Un modo che è stato, non a caso, utilizzato troppe volte in questi decenni per valutare i contributi di un altro pensiero assoluto, quello della tradizione marxista. In quante occasioni si è sentito apprezzare un testo o una scelta in tale tradizione semplicemente perché, con ritardo ed incertezze, si giungeva a conclusioni a cui altri filoni di pensiero erano arrivati, magari decenni addietro, senza orpelli o clamori? Questo modo di valutazione è importante solo per la storia delle idee, non per quella del pensiero o dell'etica sociale e politica nel loro assieme. È un punto di vista esclusivamente interno. Ben diverso e impegnativo è il metro di valutazione esterno, cometale non limitato ai significati particolari: i contributi che superano questo giudizio assumono un rilievo ben diverso. Alcuni testi pontifici superano indenni questo giudizio, pensiamo alla Pacem in Terris. Mi sembra che, in molti suoi punti, anche la Centesimus Annus, possa ambire a tale rilievo. Vediamo perché. Spiccano le parti dell'Enciclica (parte IV) in cui viene condotta in modo serrato una critica nei confronti della società di mercato. L'ispirazione è nettamente religiosa, ma le argomentazioni potrebbero essere accolte da larghi settori delle scienze sociali contemporanee, anche dall'economia, la «triste scienza». Certo non da tutti gli economisti del mainstream, ma almeno da quelli (ra-

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