Il bianco & il Rosso - anno II - n. 21/22 - ott./nov. 1991

cietà» e di inquadrare «il lavoro quotidiano e le lotte per la giustizia nella testimonianza a Cristo Salvatore» (n. 5). Viene così stabilito che la dottrina sociale non può rappresentare un momento facoltativo, anche se prezioso, dell'esperienza cristiana, qualcosa che, se si dà, è certamente un bene, ma che potrebbe benissimo anche non esserci. Al contrario, il Papa ribadisce con piena forza e convinzione che la dottrina sociale rappresenta un «paradigma permanente per la Chiesa» (n. 5), un tratto peculiare al quale non è possibile in nessun modo rinunciare. È interessante notare come Giovanni Paolo II proceda in questa importante affermazione, e ciò ci introduce già nella nostra seconda osservazione. Egli, per parlare della fondazione della dottrina sociale sceglie di passare attraverso la preliminare proclamazione del dovere «teologico» della Chiesa di essere positivamente presente all'interno della vicenda storico-sociale dell'uomo in quanto, solo così facendo, essa segue le orme del suo Fondatore e Signore, e da questo dovere deduce poi il diritto «politico» ad esercitare questa presenza. Quindi, la dottrina sociale non solo non ha una fondazione politica, ma neppure una fondazione etica, in quanto obbedisce costitutivamente al1'imperativo, che noi definiamo puramente «teologico», della imitatio Christi. Solo perché segue il Cristo, la -Chiesa diventa cittadina della polis umana. Su ciò non vi può essere alcun dubbio, e la radicalità del dovere della presenza sociale si fonda solamente sulla radicalità della sua motivazione teologica: «suo unico scopo è stata la cura e responsabilità per l'uomo, a lei affidato da Cristo stesso, per questo uomo che, come il Concilio Vaticano II ricorda, è la sola creatura che Dio abbia voluta per se stessa» (n. 53). E così come Cristo, nel mistero della sua azione redentrice, si è unito a ciascun uomo afferrandolo nella sua concretezza e storicità, anche la Chiesa deve assumerne la cura e la tutela là dove egli di fatto realmente si trova. Se si vogliono trarre tutte le dovute conclusioni da quanto appena premesso, bisogna allora dire che per l'autocoscienza della Chiesa la dottrina sociale non rappresenta affatto il politicizzarsi del proprio messaggio nè, tanto meno, il prolungarsi sin dentro la sfera sociale i.)-V-, BIANCO l.XILROSSO ■1110:0ltl fe/nf)ll/ediltolin 1080/0 9uido di TOOU4lll ___ .. __ ____ ........,._ __ .._._, .................. 0•~~'-~~ #l~~~~~ ra TEATRO NUOVO ~ .... ~ ...... "-.. ---- di una vocazione filantropica e caritativa, ma, piuttosto, essa viene a rappresentare una forma irrinunciabile della propria specifica missione evangelizzatrice. Le parole dell'Enciclica sono a questo proposito inequivocabili. «La dottrina sociale ha di per sè il valore di uno strumento di evangelizzazione: in quanto tale annuncia Dio e il mistero della salvezza in Cristo ad ogni uomo e, per la medesima ragione, rivela l'uomo a se stesso. In questa luce, e solo in questa luce, si occupa del resto: dei diritti umani di ciascuno e, in particolare del «proletariato», della famiglia e dell'educazione, dei doveri dello Stato, dell'ordinamento della società nazionale e internazionale, della vita economica, della cultura, della guerra e della pace, del rispetto della vita dal momento del concepimento fino alla morte» (n. 54). La dottrina sociale è dunque una forma particolare dell'annuncio del messaggio evangelico, forma che trae valore e giustificazione non dalla propria «particolarità», ma appunto dal suo essere una «forma» al servizio di quel messaggio. Solo un'accentuata miopia potrebbe misconoscere non solo la dirittura teologica di questa posizione, ma anche la sua preziosità storica. Essa, infatti, evita la riduzione della Chiesa a una qualsiasi agenzia sociale e, nel contempo, fonda su di un punto di mirabile equilibrio quella laicità delle realtà terrene di cui tanto spesso si parla, ma che, normalmente, o viene elusa dai ricorrenti fondamentalismi, oppure viene ridotta all'intollerabile e violento divieto per l'avvenimento cristiano di farsi davvero carne e sangue della storia degli u mini. Volendo a questo punto riassumere quanto abbiamo sin qui ricostruito sulla scorta dell'analisi del metodo della Centesimus Annus, potremmo farlo dicendo che la dottrina sociale è presentata da Giovanni Paolo II come un movimento che evangelizza: proprio questa sintetica definizione, però, ci introduce nella terza e ultima osservazione, in quanto apre la questione sulla «specificità» o, se si vuole, sulla «particolarità» di questa forma di annuncio evangelico. Anche qui il metodo in questione risulta alla fine decisivo; infatti, se per un momento richiamiamo alla mente la connessione fra giudizio e azione come sopra è stata descritta, risulterà del tutto evidente che «per la Chiesa il messaggio sociale del Vangelo non deve essere considerato una teoria, ma prima di tutto un fondamento e una motivazione per l'azione» (n. 57). Tutto ciò sta a dire che per Giovanni Paolo II l'espressione tipica e particolare di questo momento della predicazione evangelica, di questo movimento che evangelizza, deve risiedere in quella che Lui stesso chiama la «testimonianza delle opere», ossia in quella feconda rete di intraprese sociali, economiche e culturali che edificano il mondo, che si solidificano in fatti e esperienze mondane. Per dirla con una metafora, è come se il grande fiume del movimento ecclesiale finisseper consolidarsi, a un certo punto del suo fluire, in edifici e istituzioni che, certo, non sono questo stesso fiume ma che, pure, gli rendono una convincente e in qualche modo necessaria testimonianza. Giunti a questo punto, possiamo concludere che l'analisi del metodo adottato della Centesimus Annus, anche se certamente ancora troppo affrettata, ci consente di comprendere meglio le ragioni della particolare sollecitudine che Giovanni Paolo II dimostra nei confronti della dottrina sociale. Questo particolare campo della esperienza ecclesiale, infatti, viene dal Papa chiamato a svolgere una importante funzione in quell'impresa della reimplantatio evangelica che rappresenta l'azione principale del suo intero pontificato e che, instancabilmente, Egli proclama come identica a quella «cura per l'uomo» attraverso la quale passa oggi e sempre la sequela a Cristo Signore, Redemptor hominis.

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