significato. La prima mossa della dinamica dell'incontro è perciò descrivibile come il continuo gettarsi nel paragone col presente, per giudicarlo, per ricercarne il senso più vero e appropriato. Si tratta quasi di un movimento ermeneutico: dal dato al suo significato. Ma la dinamica del giudizio non si arresta qui, e.subito dopo questo primo passo Giovanni Paolo II osserva che le cose nuove su cui il giudizio si esercita non rimangono passive, che la realtà non è solo un inerte oggetto su cui la lente della verità si sofferma, ma che, al contrario, proprio l'azione del giudizio scopre e valorizza una «valenza» della realtà stessa in ordine alla verità. Detto in altri termini, grazie alla dinamica del giudizio, la verità scorge nella realtà altra verità, e così le cose nuove diventano a loro volta antiche, si incorporano nella Tradizione, «ed offrono occasioni e materiale per il suo arricchimento e per l'arricchimento della vita della fede» (n. 3). La dinamica della verità nel giudizio non è fatta solo dal piegarsi del giudizio sulla realtà storica, ma anche dal fatto che quest'ultima retroagisce sul primo, si fa essa stessa sua componente e, in qualche modo, l'accresce e lo migliora. Ciò che impedisce a questo procedere di scadere in un mero storicismo - la storia è la produttrice della verità - è il fatto che il fondamento del giudizio, il suo criterio - e non c'è giudizio senzacriterio, senza metro di misura-, criterio attraverso il quale viene vagliato il significato della realtà storica, è qualcosadi irriducibilmente trascendente rispetto a questa stessa realtà, e dunque qualcosa di indisponibile, di altro, di radicalmente autonomo. Giovanni Paolo II richiama con forza questo fatto, sottolineando che la Tradizione «costruiscesopra il fondamento posto dai nostri padri nella fede e, segnatamente, sopra quel che gli Apostoli trasmiseroalla Chiesa in nome di Gesù Cristo, il fondamento che nessuno può sostituire» (n. 3). L'azione. L'atto d'intelligenza del reale, quell' intus legere che conduce a scoprire il significato, non viene pensato dal Papa solo come una attività teorica, ma come qualcosa che si innerva di operatività. Giovanni Paolo II sembraessereconvinto che la verità sia sempre anchepratica o, per dirla nei termini di S. Giovanni, che il giudizio non sia i.>.tL BIAI\CO l.XILROSSO ■•Xi@ilil mai solo un dire la verità, ma sempre anche unfare la verità. Quello che opera a questo livello è la differenza radicale che passa fra gnosi ed evento, differenza che è costitutiva per il cristianesimo. Ciò che infatti genera il cristianesimo non è una metafisica particolarmente acuta e felice, ma l'evento reale di un uomo (di cui però va detto: ecce Homo!), e la portata soteriologica che questo evento possiede non risiede, di nuovo, nel corpus delle sue dottrine, bensì nella nuda e semplice presenza di quest'Uomo il quale, difatti, non dice: «questa è la verità, seguitela!», ma dice «io sono la verità, seguimi!». Per questo fondamentale motivo il giudizio deve sempre essere consegnato da e in una azione o, come dice il Papa, «di tali cose che, incorporandosi alla Tradizione, diventano antiche [... ] fa parte anche l'operosità feconda di milioni e milioni di uomini» (n. 3). Dottrina sociale e movimento Se quello che abbiamo appena finito di ricostruire è davvero il metodo della dottrina sociale della Chiesa, la prima e principale conseguenza di esso riguarderà necessariamente l'immagine della stessa dottrina sociale e, nel contempo, l'immagine del suo soggetto, ossia della Chiesa stessa. Come ben si capisce, non si tratta di una conseguenza di poco conto. Se noi per un momento ci spostiamo dalla considerazione astratta del fenomeno cristiano come generico «cristianesimo» e ci collochiamo nella sua considerazione positiva come Chiesa, il metodo dell'incontro enunciato da Giovanni Paolo II assume immediatamente anche una valenza ecclesiologica, e la nozione di Chiesa ne risulta perlomeno ampliata rispetto alle concezioni correnti di essa. Infatti, questo metodo impone di pensare accanto alla fondamentale dimensione teologica della Chiesa, con la sua essenziale strutturazione gerarchica (in cui la dimensione teologica si pro1unga e si mantiene), anche una dimensione che potremmo definire «storica». Se il tesoro delle cose antiche deve incontrare l' hic et nunc del presente, lo Scriba, ossia la Chiesa, deve essere pensato anche come qualcuno che è immanente ad esso, qualcuno che è presente nel tempo e nello spazio presenti. La categoria di movimento, allora, sembra essere il termine adatto per esprimere questa complessa dimensione ecclesiale, una dimensione che si affianca a quella sopra definita come «teologica», la quale, per proprio conto, rimane sempre assolutamente primaria ma che, pure, in qualche modo abbisogna anche di questa seconda. La Chiesa come movimento sarebbe dunque il volto positivo del giudizio e dell'azione, e quindi anche il soggetto appropriato della dottrina sociale. Certamente, qualcuno fra i lettori di queste considerazioni rimarrà sorpreso per non dire urtato dall'introduzione di questa categoria di movimento che, indubitabilmente, è relativamente nuova a livello terminologico. Basti però osservare che la sua novità è per l'appunto tutta e solo a livello nominale, e che a livello sostanziale il fenomeno è coesteso con la storia stessa dell'avvenimento cristiano: si rammenti solamente cosa è stato il monachesimo lungo tutta l'età medievale. In realtà, se novità vi è, essa sta solo nella rinnovata coscienza di tutto ciò, ossia nella sua rinnovata esperienza, e il Magistero del Papa non fa altro che riprendere e riaccentuare con vigore e convinzione quanto è peculiare alla natura stessa del fatto cristiano e quanto è già vivo nel suo corpo concreto. Ciò che il concetto di movimento vuole indicare è quell'aspetto della dimensione ecclesiale per il quale tutto il patrimonio delle oggettive verità rivelate, e tutta la tradizione sapienzale che da esse dipende, assumono una connotazione per così dire esperienziale, storicamente immanente, «soggettivizzata», ossia quella dimensione del presente, delle «cose nuove» di cui sopra abbiamo parlato. Allora, diventa evidente come la Chiesa come movimento sia esattamente il primo e eminente frutto del metodo dell'incontro, alla cui ricostruzione stiamo dedicando questo nostro intervento. Venendo poi alle conseguenze in ordine all'immagine della dottrina sociale, sono almeno tre le osservazioni che si impongono. Prima osservazione. Se la «presenza sulla terra» (n. 5) non è qualcosa di facoltativo per il cristianesimo, ma qualcosa che gli è essenziale e, per così dire, connaturato, allora esiste non solo un diritto, bensì un preciso dovere da parte dei cristiani di proclamare «le dirette conseguenze (del messaggio cristiano) nella vita della so-
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