Il bianco & il Rosso - anno II - n. 21/22 - ott./nov. 1991

.P.IL BIANCO lXILROS.SO lii•#iìlil Tre novità vere, con al centro l'uomo libero Una nuova Rerum Novarum? La domanda non pare oziosa, nè retorica, se si pensa che l'Enciclica di Leone XIII rappresentò una fondamentale novità nell'approccio alla nascente società industriale da parte della Chiesa e contribuì a far sprigionare o venire pienamente alla luce un grande numero di energie, di opere e di presenze dei cattolici nel sociale. La Centesimus Annus si presenta come la prosecuzione di un discorso, di una lettera iniziata cento anni fa. Ciò che colpisce è la differenza di clima. George Bermanos fa dire al suo curato di Torcy nel «Diario di un curato di campagna» che l'uscita della Rerum Novarum fu un «coupe de tonnère», un colpo di tuono. L'espressione del grande narratore da testimonianza di un'attesa, quasi che quel «colpo di tuono» rappresentasse un evento a lungo atteso al quale segue una pioggia feconda e liberatrice. D'altra parte Io stesso Mons. Ketteler, vescovo di Magonzauno dei padri fondatori del cattolicesimo sociale europeo - già trent'anni prima si era rivolto al Pontefice per chiedere un' «enciclica sociale». La «Rerum Novarum» rappresenta dunque l'emersione di un processo, la conclusione di un'attesa, il desiderio di una nuova partenza. La Centesimus Annus cade in un momento di svolta della nostra epoca; è scritta da un Papa che ha certamente contribuito ad accelerare la fine di un intero sistema sociale e politico; guarda con fiducia all'apertura del terzo millennio; dice parole decisive circa il legame tra la nuova evangelizzazione e l'annuncio della dottrina sociale. Trova però noi, uomini e donne della società del benessere, un po' pigri nel metterci in strada, comodamente seduti «nelle poltrone dei nostri privilegi», scettici circa una possibilità di veder di Luigi Bobba cambiare le cose, spettatori più che attori degli eventi, preoccupati più di disquisizioni politiche o teologiche che di dare vita e forma a questo volto sociale della Chiesa. Sarà una sensazione, ma è un tarlo che mi inquieta, come se ci volessimo impedire di cogliere, sotto la superficie degli eventi, le direzioni nascoste della storia degli uomini. Ciò nulla toglie alla forza di un'Enciclica che si presenta come una grande sintesi dell'insegnamento sociale della Chiesa, una sintesi brillante, anche per il genere letterario, che consente di accostarsi al testo in modo diretto e di coglierne i dinamismi essenziali, le intenzionalità profonde. Sintesi come rilettura dei testi precedenti - e in particolare della Rerum Novarum - per valorizzare gli elementi permanenti ma anche come superamento di certe angustie del passato e come capacità di immergersi nella contemporaneità. Ci sono tre punti dove più chiaramente si manifesta questo superamento: la prima accettazione delle categorie della moderna «economia di impresa»; la individuazione della scienza, della tecnica e del sapere quali fattori strategici per lo sviluppo; l'adesione completa all'ideale democratico. Sono tre punti eh fanno giustizia in modo definitivo di certe letture superficiali e faziose che attribuiscono a questo papato una volontà di rivincita e il dispiegamento di un potere neotemporale. L'accettazione piena ed esplicita delle categorie dell'economia di impresa - libero mercato e profitto - segnano una discontinuità in certa subcultura cattolica impregnata di un terzomondismo di maniera e assolutamente ostile per principio alla cultura industriale. Il profitto, l'impresa, il mercato sono strumenti attraverso i quali risponJ7 -- -- - - - - - ~ - - dere in modo efficace alla collocazione delle risorse e alla soddisfazione dei bisogni. Ma sono appunto strumenti, non valori assoluti. Perché il mercato non può rispondere a tutti i bisogni ma solo a quelli che hanno un potere d'acquisto, perché l'impresa non ha come unico scopo il profitto, ma la sua esistenza si giustifica anche come «comunità di uomini che, in diverso modo perseguono il soddisfacimento dei loro fondamentali bisogni e istituiscono un particolare gruppo al servizio dell'intera società» (C.A., 35). Si potrebbe obiettare: il Papa propone la solita terza via? Nulla di tutto questo. Come è già nella Sollicituo Rei Socialis, l'insegnamento sociale della Chiesa, abbandona la prospettiva della terza via. La Chiesa non ha soluzioni da proporre nè ricette preconfezionate. Ciò che la guida è unicamente il paradigma della corretta concezione della persona umana e del suo valore unico (C.A., 11). A partire da questo principio, nessun fatto della vita dell'uomo le è estraneo perché «quest'uomo è la prima via che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione» (C.A., 53). Il superamento di alcune categorie tradizionali dell'insegnamento sociale della Chiesa si evidenzia anche in un secondo punto: la consapevolezza che la scienza e la tecnica, il sapere rivestono un'importanza decisivaper lo sviluppo. «Se un tempo il fattore decisivo della produzione era la terra e più tardi il capitale... , oggi il fattore decisivo è sempre più l'uomo stesso e cioè la sua capacità di conoscenza che viene in luce mediante il sapere scientifico, la sua capacità di organizzazione solidale, la sua capacità di intuire e soddisfare il bisogno dell'altro» (C.A., 32).

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