È necessario distinguere tra alto magistero «senza fanatismo, o fondamentalismo», come ci ha ricordato Giovanni Paolo II, e questioni politiche contingenti nelle quali sono spesso impegnati anche molti «uomini di Chiesa» più terrenamente interessati a conservare la società attuale che a cambiarla come viene indicato dall'enciclica. La Centesimus Annus non è priva di limiti e contraddizioni. Mi limiterò a segnalarne tre. Si nota un certo distacco tra enunciazioni e comportamenti per quanto ri- .P-tL BIANCO lXltROS&> lih@Olil guarda il problema del terzo mondo e le questioni demografiche che possono diventare la «ragione in più» per il mancato sviluppo di interi continenti. Un'errata interpretazione dell'Enciclica può consentire che essa diventi strumento per coprire «altre ingiustizie» come è già successo nella storia della Chiesa. Infine, se le interpretazioni delle Chiese nazionali fossero scioccamente finalizzate» alle situazioni politiche locali», invece che «strumento di liberazione» per i credenti, potrebbe essere usata come mezzo di limitazione delle libertà degli uomini. In conclusione la Centesimus Annus è un grande passo avanti perché consolida valori fondamentali quali: l'uomo, il lavoro, la libertà, la giustizia sociale, la tutela del bene comune ecc.; perché aumenta la «libertà dell'agire dei credenti», perché, in un mondo che diventa sempre più piccolo, obbliga tutti a considerare «compagno di viaggio» ogni uomo qualsiasi sia la sua fede o a la sua ideologia. Dopo le ideologie: i valori etici che unificano M i pare del tutto opportuna, questa rilettura che Il Bianco e il Rosso dedica con questi numeri alla Centesimus Annus. Viviamo infatti in una dimensione in cui, complice lo stile (chiamiamolo così) dei mezzi d'informazione, tutto vive lo spazio di un mattino. Un po' di colore, due strumentalizzazioni frettolose, due polemiche approssimative; e via: a parlare di altro ... con la stessa serietà! Certo io non credo che si debba più (come si faceva una volta) considerare un 'Enciclica come una pietra miliare della storia, nemmeno della storia della Chiesa. (Fra l'altro questo tipo di documento è oggi più frequente, quasi usuale). E tuttavia mi sembra che questa Enciclica meriti un atteggiamento meno frettoloso. Anzitutto, per capire di che documento si tratta. Si tratta certamente di un documento religioso: concordo con chi ha sottolineato che questa è la lettera di un Papa ai suoi vescovi e ai suoi fedeli e, sia pure, come è tradizione da Giovanni XXIII in poi, a tutti gi uomini di buona volontà. L'autore di ·questo documento è un Papa non certo alieno daldi Gabriele Gherardi l'agire come personaggio pubblico, anche a rischio di essere interpretato come personaggio politico; ma bisogna dare atto a questo testo - ed alla stessa affermazione in esso contenuta - che si tratta di «uno strumento di evangelizzazione». Come tale, dunque, esso è rivolto agli uomini: e non agli stati e non ai partiti. Gli stati ed i partiti non dovrebbero, dunque, né compiacersi di eventuali conferme, né angosciarsi di eventuali smentite. Perché fra la Chiesa e quei sistemi di regolazione dell'ordine temporale che ano gli stati ed i partiti c'è pur sempre (o dovrebbe pur sempre esserci) una necessaria mediazione degli uomini. Sono essi che - come credenti o semplicemente come uomini di buona volontà - assumono il magistero ordinario della Chiesa come elemento formativo della loro coscienza. Quella coscienza con la quale si applicano, sotto la loro responsabilità, alla costruzione dell'ordine temporale. Questo, almeno, è l'insegnamento del Concilio Vaticano Il. Un insegnamento che (per quanto possa apparir~ oggi un po' in ombra) non è stato smentito: : 34 - - - - - e non lo è nemmeno, del resto, da questo documento. In passato alla «dottrina sociale cristiana» si è attribuito un altro peso ed un altro significato. La si è considerata, a torto o a ragione, una dottrina organica, sistematica, prescrittiva. Ma da tempo, anche in sede scientifica, i cultori di teologia e di pastorale ne danno un significato diverso. E anzi hanno parlato di «eclisse della dottrina sociale cristiana». Ci si è rifatti, a questo proposito, alla cosiddetta «gerarchia delle fonti», in base alla quale c'è una netta distinzione fra magistero straordinario e magistero ordinario (pur dovendosi ascolto anche a questo). E si è ricordato comunque che un documento pastorale è cosa ben diversa da un pronunciamento dogmatico. Per arrivare alla conclusione, in sostanza, che certo vi è stato e vi è un insegnamento sociale della Chiesa, ma non forse una «dottrina» sociale cristiana nel senso attribuitole precedentemente. Queste riserve sul piano scientifico, ed altre - assai meno autorevoli - che su altri piani si potrebbero avanzare, trovano forza e sono in qualche modo
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