Il bianco & il Rosso - anno II - n. 21/22 - ott./nov. 1991

denti o, come cominciò a predicare Papa Giovanni «tutti gli uomini di buona volontà». Il «successo» dell'Enciclica sta nel fatto che ha saputo guardare alle «cose nuove», indicando principi indipendentemente dal fatto che gli stessi possano sembrare mutuati da altre esperienze politiche o ideologiche. L'enfasi sulla centralità del lavoro, sul bene comune, sullo Stato non neutrale è tipica del socialismo democratico ed è da considerare fatto di grande rilievo che venga ripreso in un documento che sarà un «riferimento alto» per molti uomini della terra. Nell'impostazione della Centesimus Annus vi è certamente il segno dell'e. perienza di Solidarnosc, quasi ad intendere il Sindacato come «l'altra parte dello Stato», (lo Stato totalitario comunista); ma vi è anche un grande riconoscimento al movimento dei lavoratori come regolatore di una società che cerca la «giustizia sociale» laddove si dice che: «Per conseguire questi fini è ancora necessario un grande movimento associato di lavoratori il cui obiettivo è la liberazione e la promozione integrale delle persone». Questa impostazione deve essere letta congiuntamente con ciò che fu detto da Giovanni XXIII che, a proposito di «relazioni sociali», legittimava «la tendenza a dare vita ad una ricca gamma di associazioni e movimenti per raggiungere gli obiettivi che singolarmente non possono essere raggiunti». Tali movimenti devono «godere di effettiva autonomia» perché è attraverso essi che si «esprime la socialità». L'autonoma organizzazione nella società di gruppi ed associazioni anche di persone con credi e religioni diverse, viene legittimata dalla «comune volontà di giustizia sociale». Il riferimento di Papa Giovanni XXIII «all'errante», come interlocutore, e agli incontri tra «quanti credono e quanti non credono alla ricerca della verità», non vengono cancellati dalla Centesimus Annus», anzi trovano più forza perché si nobilita ulteriormente l'uomo che lavora, il suo diritto alla giustizia, alla partecipazione, alla divisione del profitto. Il concetto di partecipazione presuppone l'accettazione al dialogo ed al confronto. Vale la pena di ricordare che Paolo VI diceva: «il dialogo suppone ed esigecomprensibilità, è travaso di pen- ~-fL BIANCO lXILROSSO l 111 @iilil tu elevi votare siero, è un invito all'esercizio delle superiori facoltà dell'uomo ... , il dialogo non è orgoglioso, non è pungente, non è offensivo ... La fiducia, tanto nella virtù della parola propria, quanto nell'attitudine di accogliere da parte dell'interlocutore promuove la confidenza e l'amicizia; intreccia gli spiriti in una mutua adesione al bene che esclude ogni scopo egoistico». Questa capacità di guardare al nuovo e di privilegiare il dialogo ed il confronto, avendo come punti fermi i diritti dell'uomo (o donna), soprattutto i diritti del lavoratore, possono far sorgere la domanda se siamo di fronte ad un modello di «socialismo cristianizzato». La domanda non consente una risposta in via di principio, consente però di poter affermare che a vincere è il concetto di «solidarietà» del socialismo milanese e padano che ho in parte conosciuto. I vecchi socialisti che si confrontavano con una Chiesa spesso diversa, «amica dei padroni», e che per decenni lavorarono ad organizzare «libere associazioni» Cooperative, Società di Mutuo Soccorso, Scuole di Formazione professionale, Sindacati ecc., sarebbero contenti di vedere solennemente ripresi alcuni principi per i quali, in alcuni casi, scattò per loro la scomunica. Guardare alle «cose nuove» significa certamente capire la lezione della storia, a partire dalla sconfitta del comunismo, ma significa anche prendere atto che molte delle battaglie del movimento dei lavoratori di ispirazione socialista, gradualista e democratico sono diventate patrimonio di grande parte del mondo democratico e libero e sono di stimolo ed esempio per i popoli che ancora non vivono in democrazia. Le ragioni del «socialismo gradualista ed evoluzionista» che richiamarono l'attenzione di Pio XI, trovano oggi nuovo slancio. Anche da questa Enciclica, a mio parere, esce confermata e rafforzata l'indicazione per i credenti, già data da Giovanni XXIII e Paolo VI, di ricercare «autonomamente», i modi per attuare le indicazioni della «dottrina sociale della Chiesa». Il cattolico, il cristiano, dopo la Centesimus Annus, è contemporaneamente più libero e più vincolato. È più libero rispetto alla organizzazione o al partito a cui iscriversi, è più vincolato sul piano dei «principi». Partendo da queste considerazioni si può dire che al Congresso Socialista di Bari si è fatta confusione tra cose diverse; la Chiesa, il Concordato, il Papa e la sua funzione pastorale, e i papalini. La Chiesa ha esigenze diverse comprese quelle concordatarie. Il Papa può eccedere di «presenzialismo» ma, per fortuna, svolge un ruolo di «alto magistero». I papalini sono coloro che cercano di «usare» il Papa per scopi molto più terreni. Mi riferisco all'uso che si è voluto fare del «desiderio di pace» più volte espresso da Giovanni Paolo II in occasione della guerra del Golfo, era giusto per il Papa auspicare ed agire per la pace, ma era altrettanto doveroso che i governi lavorassero per una «pace duratura» fondata «sul rispetto delle regole della convivenza internazionale». Troppi, soprattutto in Italia, agiscono in modo da rendere «merce deperibile» ogni grande insegnamento facendone un uso strumentale per un partito o un raggruppamento. Anche in casa socialista spesso vi è la tentazione di leggere le iniziative del Pontefice per usi interni oltre che riferiti alla «situazione politica italiana del momento».

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