venimenti politici sono un aspetto, ossia la generale crisi delle ideologie. Perché se è pur vero che la più vistosa è la complessa e per certi aspetti drammatica crisi dell'ideologia marxista, non c'è dubbio che tutte le ideologie sono entrate progressivamente e definitivamente in crisi ed ancor più è entrata in crisi la possibilità di una qualche filosofia della storia. Nessun partito ormai ha il coraggio o comunque la possibilità di richiamarsi ad una vera e propria ideologia e la stessa fine, a livello teorico, dell'unità dei cattolici è legata anche al fatto della impossibilità di usare il cristianesimo, come si era per molto tempo fatto, come una vera e propria ideologia. Non pochi ricorderanno che al primo Congresso della Democrazia Cristiana tenutosi a Roma dopo la liberazione, l'unità dei cattolici fu autorevolmente invocata sulla base della «ideologia cristiana». In questo momento storico in cui le forze politiche, morte le ideologie, debbono riproporsi, per non cadere sul piano di un puro pragmatismo, un inquadramento in una scala di valori che dia un orientamento etico ma che non sia una ideologia, la «Centesimus Annus» non assume soltanto il valore di un tentativo di riprendere il discorso iniziato con la Rerum Novarum e di valutare che cosa questo discorso, iniziato allora, significhi oggi, come vada mutato, integrato, per certi aspetti negato o modificato, tenendo conto di tutta la storia che in questi cento anni ha spesso con drammatizzazioni improvvise e con grandi accelerazioni, trasformato il mondo, ma è anche, a suo modo, qualcosa di radicalmente nuovo. Perciò riferimenti molto rigidi alle tematiche e al clima nel quale sorse la Rerum Novarum e comunque alle varie, travagliate, forme attraverso le quali le ideologie (quella liberale, quella socialistademocratica, quella comunista) si espressero nella realtà politica italiana e internazionale e tentare una relazione di tutto questo con l'impegno dei cristiani sul piano sociale e politico è a mio avvisopossibile, ma difficilissimo, e per certi aspetti può essere fuorviante. Senza dubbio la Centesimus Annus è destinata ad incidere anche nella dialettica politica del nostro Paese e il suo collegamento col mondo del lavoro e con la realtà sindacale non è da sottovalutare, ma secondo me vanno posti alcuni pro- .P.lL BIANCO lXILROS.SO liii@Oiiil blemi preliminari, il primo di tutti è quello della laicità. Dopo la caduta delle ideologie questo termine non può più essere usato come un tempo e non si può parlare di laici da un lato e di cattolici o cristiani dall'altro. Ormai il concetto di laicità va visto in antitesi a quello di integralismo e non a quello di fede o di impegno religioso (in sostanza è sempre stata erronea questa contrapposizione). Oggi comunque è laico chi non è integralista e non è laico chi è integralista. Ci sono perciò molti cristiani laici e molti non cristiani non laici e viceversa. L'Enciclica «Centesimus Annus» va vista come un importante contributo per tutte le forze politiche, tramontate le ideologie, a porre in nuovo modo anche i problemi della fondazione etica della politica. Certo, come nella Rerum Novarum ROMA ÈDIDIO I NOCNADA I MANO Al SUOI NEMICI così nella Centesimus Annus è possibile trovare residui di una cultura sociale per alcuni aspetti superata così come alcuni termini possono apparire ambigui per la genericità e per l'ampiezza con la quale vengono usati. Oltretutto è caratteristica, a mio avviso, di questo Papa, tentare di utilizzare una formazione culturale sul piano sociale e politico legata ad una realtà quale quella dalla quale egli proviene, storicamente datata, in un quadro però nel quale la spinta ecumenica tende a rompere vecchi schemi e vecchie formule nel tentativo di aprire un dialogo profondo e diretto che si colleghi ai bisogni reali emergenti nel nostro pianeta. È questo ecumenismo, è questa spinta ad andare a vedere in loco i problemi non solo del popolo di Dio, ma degli uomini e a sperimentare i limiti della loro «condizione umana» L .. _ ___ _ _ _ _ __ 3t che permette di superare anche vecchi schemi e culture inquadrabili in esperienze datate. La Centesimus Annus va vista come una grande apertura di dialogo più che come un proseguimento più o meno critico del discorso impostato cento anni fa dalla Rerum Novarum. Ogni paragone che tenti rigidi collegamenti storici o analisi storiografiche o sociologiche è alla fine per molti aspetti fuorviante. E, a mio avviso, i partiti politici dovrebbero avere il coraggio, anche alla luce di questa Enciclica, di non porsi più i problemi secondo vecchie categorie. Non solo va rifondato il concetto di laicità ma anche alcuni termini come sinistra, progressismo, mondo moderno, etc. vanno rivisitati e rianalizzati al di là di formule rituali che spesso non hanno più senso anche perché nessuno può pensare di fruire di rendite di posizione credendo di essere depositario di queste realtà. Credo che più che porci il problema del perché e se la Chiesa cattolica possa continuare ad apparire vicino solo alla Dc, del perché e se e come si possa parlare oggi di un socialismo cristiano anche in riferimento alla Centesimus Annus, del perché e se, cadute le ideologie, il rifiuto della politica sia spesso collegato al constatare una profonda crisi di valori nella politica stessa, bisognerebbe che ci ponessimo il problema di quali profondi rinnovamenti vanno introdotti nella nostra dialettica politica e come i profondi mutamenti tecnologici, le grandi rivoluzioni scientifiche, i cambiamenti radicali nei rapporti tra Stati e il profondo mutamento dell'equilibrio mondiale possono essere alla base di un nuovo modo di fare politica che non cada in ipotesi puramente pragmatiche o non voglia ripercorrere a ritroso sentieri che la storia ormai ha abbandonato, ma proponga un nuovo modo di organizzare le speranze degli uomini, compito precipuo della politica, in un quadro etico accettabile e su di un terreno nel quale ci si possa incontrare. La Chiesa, caduta la politica «dei blocchi» non può non proporre ai politici, anche con l'Enciclica «Centesimus Annus», il problema del sottosviluppo e della fame nel mondo che non possono essere più ... figli della «guerra fredda», ma della insufficienza di un sistema politico ed economico. Tre milioni di bambini l'anno muoiono per le malattie per le quali esiste un
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==