Il bianco & il Rosso - anno II - n. 21/22 - ott./nov. 1991

eviti gli errori e gli squilibri delle ideologie come sono state configurate storicamente. Resta il fatto che per un cristiano il vero problema non è vedere fino a che punto sono conciliabili le idee politico sociali di questa o quella corrente con la sua fede, ma radicarsi profondamente nel cuore della scelta evangelica, e allora si accorge che si aprono gli spazi autentici di accordo con tanti, e non solo spazi formali, ma reali, e da condividere cordialmente, perché finalizzati alla costruzione di una società che sia davvero la casa comune di tutti, cristiani e no». - Per concludere: come vedi, dal tuo molteplice punto di osservazione, il futuro della Chiesa italiana in questa società postideologica? «L'essenziale mi sembra sia il fatto che la Chiesa, in Italia, e non solo in Ita- .{)!L BIANCO lXILROSSO 1111 @1111 lia, abbia oggi una grande responsabilità anche dal punto di vista sociale, in prima persona, e non delegabile a nessun partito, a nessuno movimento o gruppo cattolico. E ciò anche per ciò che io chiamerei «minor tenuta» delle ideologie. Andiamoci piano a parlare di morte delle ideologie, stiamo attenti a certe liquidazioni premature. Anche le ideologie sono una espressione importante del nostro modo di vivere, ragionare, comunicare. In ogni caso le ideologie tengono meno, e la Chiesa, lo ripeto, ha una grande responsabilità». «Certo, è difficile fare previsioni, ma mi pare che stiano emergendo alcune linee che tuttavia debbono essere ulteriormente definite e approfondite. Una di queste mi pare la crescita di cristiani responsabili e liberi, capaci di essere laici fino in fondo nella politica, nell'economia, nella cultura, capaci di realizzare quella famosa «sintesi vitale» di fede e cultura, di fede e vita di cui parla il n. 43 della Gaudium et Spes. Non una sintesi teorica, sia chiaro, ma una sintesi vitale. Se questo si realizza, dentro o fuori questo o quel partito non importa, Dc o non Dc che sia, se non avviene un fenomeno di rigetto del politico e delle responsabilità sociali, di cui purtroppo ci sono anche segnali preoccupanti, allora io sarei ottimista. Altrimenti, se prevale una specie di rifiuto di responsabilità, una delega alla stessa Chiesa, come se potesse da sola fare anche il mestiere dei laici, allora ci sarebbe da preoccuparsi, e sarebbe davvero un guaio grosso. Certo, anche la Centesimus Annus, in questo caso, sarebbe tradita, e le cose andrebbero male per tutti. Lasciami concludere dicendo che spero che il futuro si muova su altri sentieri». Una vera modernità, intelligente e generosa per tutti S iamo, come qualcuno ha sostenuto, in un'epoca di papismo che annulla le conquiste laiche degli ultimi due secoli? O si può dire che esse hanno oggi contagiato anche la dottrina papale? Non credo proprio che Giovanni Paolo II intenda annullare le grandi conquiste di pluralismo e di libertà della cultura laica. Ricordo che, al primo apparire della «Centesimus Annus» uno dei commenti che circolava metteva in luce una presunta visione antioccidentale presente nell'Enciclica. Poi, progressivamente, questi commenti hanno cambiato di tono. Ad una lettura attenta dell'Enciclica in realtà è difficile non riconoscere che le tre grandi conquiste della cultura laica europea (lo stato di diritto, il libero mercato, il rapporto tra scienza e tecnologia) permeano l'intero documento papale. Non si ribadisce soltanto il ruolo della proprietà privata, ma di Giancarlo Lombardi si chiarisce che il profitto, quando non diventa un idolo assoluto, è un indispensabile misuratore della salute dell'impresa e che il mercato non è solo lo strumento più efficiente per la migliore allocazione delle risorse materiali ma anche una condizione per la salvaguardia della dignità dell'uomo. Nell'attualissima riflessione sull'esigenza che il lavoratore realizzi in azienda maggiore creatività, libertà e partecipazione ho notato singolari assonanze con le più moderne teorie aziendali e con una visione non paternalistica della qualità totale. Come pure sono rimasto colpito dall'enfasi sull'importanza del sapere e della formazione come potenti strumenti di promozione umana e di sviluppo. Il concetto di Stato che è presente nella dottrina sociale di Giovanni Paolo II è un concetto accettabile da tutti, anche da chi non condivide i principi religiosi o anche solo i principi cattolici che sono del Papa? Credo proprio di sì. Anzi giudico la riflessione sullo Stato presente nell'Enciclica di notevole modernità. Se infatti il quarto capitolo della «Centesimus Annus» ha attirato la più grande attenzione, non meno innovativo appare il quinto capitolo dedicato al ruolo dello Stato. E non solo perché vi è il paragrafo 46 con il significativo apprezzamento da parte della Chiesa del sistema della democrazia, ma soprattutto per l'individuazione dei compiti e dei limiti dello Stato nella sfera economica. Ed è una riflessione di non poco conto proprio perché, se è responsabilità dell'impresa produrre ricchezza, l'attività economica non può svolgersi in un vuoto istituzionale, giuridico e politico. Vi è insomma una precisa responsabilità dello Stato nel provvedere alla redistribuzione di

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