Il bianco & il Rosso - anno II - n. 21/22 - ott./nov. 1991

.{>JL BIANCO lXILROSSO •iikli••II Se non si ponesse mano all'attuazione della riforma pensionistica, almeno secondo le linee del progetto brevemente esaminato, si procurerebbe un danno al nostro sistema economico. Siamo, quindi, del parere che valga la pena tentare di risolvere il problema dell'età di pensionamento sulla base di un accordo che cerchi di mediare le tesi a confronto. Un impopolarismo • necessario di Mario Bertin I I progetto del ministro Marini per la riforma delle pensioni si è incagliato su una questione di non poco conto: quella dell'età pensionabile. Marini ne propone l'elevazione obbligatoria a 65 anni. I socialisti e i sindacati, con gradi di convinzione assai differenti tra loro, sostengono che essa deveesserelasciata all'opzione individuale. Alcuni - Cgil e Cisl - per non buttare a mare la riforma, si dicono disposti a passar sopra alle loro difficoltà e ad accettare l'innovazione del Ministro: altri - il Psi e la Uil - sono invece su posizioni di assoluta intransigenza. Si tratta soltanto di calcoli elettorali? Si sarebbe portati a crederlo, se contro l'elevazione obbligatoria dell'età di pensionamento non esistessero obiezioni serie, che non possano essere archiviate con eccessiva leggerezza e superficialità. L'innalzamento dell'età pensionabile è l'unica misura contenuta nel progetto di Marini che consenta, di qui al 2010, un consistente contenimento della spesa previdenziale, mantenendo le aliquote di equilibrio ai livelli attuali. Se venisse cancellata, tenuto conto dell'impraticabilità di tutte le alternative possibili (elevazione dell'aliquota contributiva e/o aumento del contributo dello Stato), in tempi non lontani si verificherebbeil collasso dell'intero sistema. Di qui l'ostinata determinazione con cui Marini difende la sua proposta. I problemi nascono però quando si va a vedere chi essa penalizza, chi sono cioè coloro sulla pelle dei quali viene realizzato un risparmio di entità così rilevante (secondo i calcoli lnps si tratterebbe, nell'arco di tempo considerato, di circa 154 mila miliardi). Ad esserne penalizzati non sono certamente coloro che hanno la fortuna di compiere una carriera lavorativa regolare perché, al raggiungimento del sessantesimo anno di età, o addirittura prima, essi in elevata percentuale potranno far valere le anzianità di lavoro e di contribuzione richieste per godere del diritto alla pensione di anzianità (35 anni) o al massimo della pensione di vecchiaia (40 anni). Questi lavoratori appartengono ai settori produttivi forti delle regioni settentrionali. Penalizzati sarebbero invece coloro che hanno incominciato a lavorare in età avanzata (dopo i 25 anni) e che hanno lavorato in modo discontinuo o con rapporti precari e irregolari. Sono queste tipologie presenti soprattutto in alcune categorie (edili, braccianti, tessili, ecc.) e nelle aree geografiche meridionali. E cioè nelle fasce più deboli e meno protette della popolazione. Molti dei lavoratori compresi in queste fasce, inoltre, nell'età compresa tra i 60 e i 65 anni si trovano già in una condizione di disoccupazione o di sottoccupazione. Ebbene, è a questi lavoratori che si chiede di posticipare il godimento della pensione anche se la pensione, nell'età considerate, costituisce l'unico reddito di cui potrebbero disporre. L'elevazione dell'età pensionabile ci allinea alla normativa applicata negli altri paesi europei. Ma la particolare situazione del mercato del lavoro in Italia carica il provvedimento di significati e di implicazioni impopolari, per non dire antipopolari. Questi che abbiamo descritto sono i termini del dilemma. Come può scegliere chi pretende ispirare la propria azione a principi di giustizia, di uguaglianza, di solidarietà? Escludiamo il cinismo di chi dice che, non es-

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