.{).lL BIANCO l.XILR~ Miiklii•II il perché - in un mare di incomprensioni e di assurde lotte intestine: badiamo più al particolare, alle singolarità, all'orgoglio personale e/o di gruppo, trascurando i problemi generali di ordine economico, politico, tecnico ed amministrativo della nostra società, la quale, pur essendo compresa fra le sette maggiori comunità nazionali più industrializzate del mondo, si trova sul punto di essere riprovata agli esami di maturità politica, sociale e monetaria e finire nella «serie B», cioè fra i paesi che non godono della necessaria stabilità politica, economica e sociale per allinearsi con gli altri più progrediti paesi europei. Ritengo importante questa premessa, per poter affermare che, dopo aver preparato e varato la Costituzione del 1948, non siamo più stati capaci di intraprendere ed adottare quelle modifiche istituzionali e quelle riforme idonee al progresso economico e di civiltà che il paese, con il lavoro dei suoi cittadini, ha conseguito. Fra queste riforme va annoverata quella previdenziale, la quale, pur essendo stata promossa sin dalla fine degli anni Settanta, con proposte che oggi rappresentano ancora quanto di meglio ideato in materia, non ha mai visto il traguardo per una concreta definizione, tranne qualche stralcio in materia di invalidità pensionabile, di prosecuzione volontaria del versamento dei contributi e del ricongiungimento dei periodi assicurativi risultanti nelle diverse gestioni previdenziali che formano il nostro sistema di previdenza nazionale. Sono ormai passati oltre tredici anni (molti di più sarebbero se facessimo riferimento alle proposte Cisl della fine degli anni Cinquanta o a quelle del Cnel del 1963), senza pervenire ad un risultato concreto. Le ragioni per cui la riforma previdenziale non ha fatto progressi sono, a mio avviso, rivendicabili agli ostacoli apposti da parte di coloro che hanno saputo difendere gli intere si delle varie note corporazioni, non sapendo, al contrario, vedere come l'attuale sistema generale di previdenza pubblica, anche se suddiviso in tantissime gestioni, essendo, per sua natura, di carattere solidaristico, non può e non deve assolutamente privilegiare interessi di parte. Il regime «a ripartizione», sul quale è tecnicamente impostata la gestione pensionistica lega, con un rapporto obbligatorio di solidarietà, generazioni diverse fra loro, per cui non è assolutamente possibile - come è stato fatto finora - pensare all'oggi, trascurando l'avvenire dei fondi pensione. I JJ L_ ---- - --- -- - Oggi i pensionati vedono finanziate le gestioni pensionistiche con i contributi che corrispondano gli attuali lavoratori. Per converso, viene da domandarsi come garantire ai lavoratori attuali il loro avvenire di pensionati, quando saranno loro a pesare sui futuri lavoratori. Abbiamo il dovere noi oggi di pensare a tali programmi? Ovvero avvertiamo soltanto la preoccupazione di scaricare sulle generazioni future migliaia di miliardi di lire di debiti, senza predisporre dei presidi atti a garantire il regolare flusso dei mezzi finanziari, attraverso la contribuzione o l'imposizione fiscale, per il pagamento delle prestazioni che non desideriamo appiattite ma corrispondenti alle singole posizioni di lavoro conseguite dai lavoratori all'atto del loro pensionamento? Va peraltro osservato che il regime tecnico della ripartizione, vigente dal 1952, non potrà essere mai più sostituito totalmente. Potrebbe al più essere integrato con il regime della «capitalizzazione», per la gestione di forme di previdenza complementare o integrativa. Rispondere con coerenza ai suddetti interrogativi significa porre immediatamente mano a riforme di struttura e, fra queste, alla riforma previdenziale. Il progetto Marini è una risposta. Se non definitiva e totale, è comunque una risposta, alla quale non si dovrebbero opporre ostacoli. In caso contrario, non solo verrebbe pregiudicata la realizzazione stessa di una qualsiasi riforma, ma anche, come di solito si è verificato, si accumulerebbero nuovi gravami e nuove difficoltà per la gestione futura della previdenza e anche dell'assistenza pubblica. Il progetto Marini è qualificato soprattutto dalla unificazione delle normative di alcuni istituti della previdenza pubblica. Ciò va sottolineato, perché questo processo unificante («regole del gioco uguali per tutti», almeno per alcuni istituti) caratterizza e distingue il progetto Marini rispetto ad altri progetti di recente formulazione. L'unificazione, come è noto, riguarda: l'età di pensionamento a 65 anni, le pensioni di anzianità con 35 anni di contribuzione, il cumulo pensione-retribuzione, il calcolo sulla base degli ultimi 1 O anni di contribuzione della retribuzione utile per la determinazione della misura della pensione, la parificazione dell'aliquota contributiva pensionistica a carico dei lavoratori, la misura della pensione di riversibilità. Le relative norme di unificazione sarebbero attuate, ovviamente, con la dovuta
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==