Il bianco & il Rosso - anno II - n. 21/22 - ott./nov. 1991

ic).tJ. BIANCO \XILR~ Kiikii•lil ProgettoMarini? Con qualchedubbio di Giuliano Cazzola A ncora non conosciamo il destino della riforma delle pensioni. Per ora quello di Marini è un progetto dimezzato: visibile solo «dalla cintola in su»; promosso a luglio nelle sue linee generali e rimandato a settembre per tutto il resto. E l'esame di riparazione viene sempre rinviato. In politica, ogni fase è irripetibile e le decisioni dipendono da tante variabili da rendere assai problematica la corsa contro il tempo di un eventuale disegno di legge già penalizzato da una falsa partenza. Andreotti aveva capito subito che lo scampolo di una legislatura non è la circostanza più favorevole, per osare una riforma in lista d'attesa da oltre un decennio. Così, con la distaccata saggezza di chi domina le cose del mondo, il «grande navigatore» aveva persino scritto nel programma del suo settimo governo che in materia previdenziale si sarebbe fatto assai poco e comunque con tanta cautela. Poi, nel gioco della politica, un'azione di contropiede aveva riaperto le sorti di una partita di cui si attendeva ormai solo il rischio di chiusura, quando Guido Carli si era messo in testa d'inserire nella manovra di maggio alcune misure di contenimento della spesa previdenziale. Dal putiferio che ne era derivato, si uscì restituendo al neo-ministro del Lavoro il più succulento (ed insidioso) dei compiti d'una carriera appena iniziata, ma destinata ad arrivare lontano. Per misteriosi processi biologici, i progetti di riforma finiscono per assomigliare ai ministri che li propongono. Così Marini ha predisposto un progetto non troppo brillante, ma pieno di buon senso e di prudenza. Per onestà, al titolare del Lavoro va riconosciuto un grande merito: l'essersi proposto un disegno di unificazione dei diversi regimi con un'ampiezza mai tentata nella storia delle riforme previdenziali dopo la caduta del piano Scotti. Per un ministro democristiano, ex-Cisl e quindi con ben due gambe piantate nel pubblico impiego, è certamente un approccio importante e coraggioso. Per il resto, Marini ha dovuto mediare tra esigenze opposte: quella delle ormai prossime elezioni, a cui ha fatto fronte con la previsione di un pacchetto di misure che migliorano le attuali normative ed aumentano subito la spesa; quella invece del suo contenimento, sia pure in una prospettiva di decenni, con la promessa dell'invarianza dell'aliquota d'equilibrio, già ora esorbitante rispetto agli standard europei ed Ocse. Avendo attentamente curato di non toccare gli istituti che incidono sui rendimenti delle pensioni, Marini si è trovato a sbattere necessariamente contro l'unica possibilità di «risparmio» che gli era rimasta: l'innalzamento dell'età pensionabile a 65 anni per uomini e donne sia pure con un'accentuata gradualità e con il temperamento di un reticolo di salvaguardie che, combinate con l'immutato diritto alla pensione di anzianità dopo 35 anni di lavoro e con la riconferma del massimo di rendimento dopo 40 anni di contribuzione, finivano per lasciare sostanzialmente inalterati, anche nel futuro, gli attuali limiti di pensionamento per tutti coloro che dispongano di una congrua anzianità di lavoro. La fissazione dell'età pensionabile a 65 anni non era allora una norma ad effetto generale, ma si proponeva solo di rendere più complicato e oneroso uno dei tanti usi impropri del sistema previdenziale italiano: quello di avere facile accesso e di poterne uscire il più presto possibile, magari con una prestazione modesta, ma da erogare per un periodo molto lungo. Inoltre è sempre utile ricordare che su 24 paesi Ocse, 16 hanno l'età pensionabile fissata a 65 anni, 4 a livelli piu alti, 3 a 60 anni, uno, l'Italia, per le donne a 55 anni. Intorno al piano del ministro del Lavoro sembrava essersi raccolto un buon livello di consenso, il quale, quando si tratta di pensioni, si traduce al massimo in una sorta di «non sfiducia». Rimaneva solo la resistenza caparbia, irriducibile della Uil. Marini si apprestava a risolverla nel modo «ragazzino, lasciami lavorare», quando, come un fulmine a ciel sereno, Ghi-

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