Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 20 - settembre 1991

1ii•B11 di 1 iitiMUD Nazionalità: l'originalità del caso curdo e urdi (cosi, in buon italiano, piuttosto che Kurdi, anche perché più i nomi hanno sapore esotico e meno rappresentano popoli in carne e ossa) ... se ne parla ancora. Giorni fa, proprio mentre il presidente sloveno lanciava un audace paragone tra sloveni e, appunto, curdi, la televisione italiana .trasmetteva, a pochi minuti di distanza, immagini di «rampolli della Lubiana bene» accanto all'automezzo (ad aria condizionata, si spera, data la stagione) pronto per portarli in vacanza a Cambridge, e altre immagini, meno «bene», di bambini curdi morenti durante la vana fuga dalla padella irachena alla brace turca. Ci si guardi dunque dall'ingannevole assimilazione tra i molti nazionalismi che stanno attualmente esplodendo un po' dappertutto nel mondo. Stanno esplodendo soprattutto nel mondo, che maggiormente soffre di disagi o squilibri economici, bisogna dire, dal momento che le borghesie sazie dei Paesi Baschi, di Corsica, e perfino dell'Ulster, non sentono dentro di sè impulsi materiali nè costrizioni sufficienti a caricarle di entusiasmi risorgimentali, e ben si distinguono dai compatrioti, «estremisti» ovvero «idealisti», che lanciano bombe. Tuttavia l'esplosione nazionale, nazionalista, regionalista e addirittura tribale caratterizza un po' tutto il mondo attuale, forse perché l'inconscio collettivo anela disperatamente a una diversificazione purchessia, anche del tutto formale, che funzioni come riscatto morale del generale appiattimento sostanzialeovunque operato dalla realtà - o, peggioancora, dall'aspirazione, più uniformemente gli animi della realtà stessa - consumistica. Pochi sanno, per esempio, di quali terribili invettive siano capaci certi poeti di Gianroberto Scarcia lapponi, cui il patriottismo ecologico non impedisce poi di affittare la capanna a villeggianti estivi che tutto inquinano, a carico del colonialismo da negrieri di gente come i finlandesi che siano tutti abituati a considerare per eccellenza pacifica e tranquilla (ma già, si ricordi come il primato storico assoluto nella capacità di sterminio sia stato conquistato a suo tempo degli altrettanto tranquilli e pacifici belgi). Disagio economico, si diceva, nel tentativo di dare un nome onnicomprensivo, accomunante mancanza di pane e mancanza di companatico, al detonatore che sta facendo esplodere, oggi, il paese di Tito come quello di Stalin ecome quello di Gandhi, cioè tre società, senza dubbio, finora diversamente gestite. Ma se è la miseria spaventosa che addirittura crea dal nulla un nazionalismo hindù privo di qualunque tradizione storica in quell'India che rappresenta, si badi, l'unico volenteroso esempio, per quanto si può, di liberalismo in tutto il Sud del mondo, in Jugoslavia e nell'Urss il vento nazionalista investe soprattutto quelli che, nel relativo contesto, sono i più benestanti; e non solo lo sono, ma sono stati resi o mantenuti tali da un sistema che proprio loro ha privilegiato nei fatti. Proprio perché si sentono economicamente abbastanza robusti e maturi, e con le mani che prudono dall'urgenza di esternare libera iniziativa, certi popoli hanno gran fretta di scrollarsi di dosso le ultime pastoie - tra cui il fardello dei «fratelli» più poveri e meno abili - e di partecipare quali partner di pieno diritto all'industrioso concerto europeo. Essi, che godono già di sostanziale autonomia, non solo culturale ma anche politica (più o meno quanta è possibile averne ovunque in un mondo così segnato dalI 11 l'interdipendenza), fanno presto, anche tecnicamente, a organizzarsi un referendum. Ma chi si ricorda più delle vere vittime e delle vere «lingue tagliate»? Di calmucchi, di nogai, di balcar, di caraciai? E a quali indirizzi i tartari di Crimea privi di casa possono mandare le schede per il referendum sulla secessione di una repubblica autonoma che da tempo non esiste più? In Europa l'esempio estremo dell'iniquità nell'assetto internazionale è rappresentato dal Kosovo, che chiede invano di farsi repubblica federata e dove la metà dell'intera popolazione albanese deve vivere suddita della Serbia, la quale si fa forte, là, dello stesso tipo di ricordi, cimeli e simboli arcaizzanti e neomedievali che giustamente rimprovera a sloveni e a croati. Ma perfino questo caso estremo è a sua volta situazione di relativo privilegio rispetto alle condizioni in cui versa il popolo curdo, una nazione individuata da secoli come tale, in seno all'Islam, sia nella sua componente etnica e nei suoi tratti sociologici, sia nel suo territorio: riconosciuto nettamente da ben prima che si parlasse, non diciamo di pachistani o anche di afghani, ma addirittura di turchi, che, fino a pochi decenni fa, chiamati turchi solo dagli occidentali (e «cose turche» voleva dire cose turche anche per i diretti interessati!), non si rendevano ancora conto di essere tali piuttosto che, semplicemente, i tutori e la guardia scelta del califfato islamico unitario. Il mitico «atto di fondazione» della patria curda, di cui s'è già parlato su Il Bianco e il Rosso, è evidentemente una favola, ma non più favola di quella sulla fondazione di Roma e sullo sbarco di Enea; ciò che è un fatto è la stretta parentela culturale con i persiani, anche se non si sa poi quanto sia vero che i curdi

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