--"-'-'· Ul.\:\(:O l.XII.IIOSSO •I''"""' I I ii (iijnn Gli interrogativi aperti della crisi jugoslava I l precipitare della crisi jugoslava, nonostante l'intervento europeo ed americano, pone una serie di problemi alla Comunità, se non altro perché la Federazione si interpone nel tessuto del1'Europa dei Dodici. Del resto le stesse misure di sostegno economico, da ultimo il Terzo Protocollo Finanziario che era arrivato alle soglie della firma, avevano prioritariamente il senso di colmare, seppure gradualmente, queste fratture tra Grecia e centro Europa. Le vicende che si stanno susseguendo stanno producendo in tutte le repubbliche devastanti effetti economici e sociali. Stanno aumentando le distanze tra Jugoslavia e Comunità sotto il profilo dei comportamenti politici, dei livelli democratici e, come dicevamo, di quelli economici. Se prendiamo in considerazione, ad esempio, la situazione della Croazia, non si può che constatare che il processo di privatizzazione è fermo. Sono invece sempre più frequenti i casi di centralizzazione di attività economiche precedentemente gestite a livello locale. I comuni sono stati, proprio recentemente, privati delle loro entrate. E come mi ricordava qualche giorno fa il Sindaco di Rovigno, sono alla bancarotta anche quelle città che prima godevano di una realtiva floridezza. L'economia è paralizzata dal blocco degli aiuti e degli investimenti stranieri, dall'azzeramento delle entrate turistiche, fino a ieri cospicue. Oggi quasi il 50 per cento della popolazione attiva, o è disoccupata, o è tenuta in vita da un misero salario sociale. Per ammissione delle stesse autorità di governo in alcune aree la fame è un pericolo concreto ed imminente. I sindacati sono impotenti, sia perché i contratti collettivi non sono riconodi Nereo Laroni sciuti, sia perché ogni manifestazione antigovernativa viene bollata come tradimento nei confronti della Patria in pericolo. Affiora l'antico aroma del nazionalismo, come inebriante sostituto del pane. E gli stessi sintomi cominciano a serpeggiare in Bosnia, Macedonia, Montenegro. Ma con l'aggravante che il «profondo sud» slavo già prima della crisi versava in una condizione da Terzo Mondo, ivi compresi i livelli di disoccupazione, spesso superiori al 20 per cento. Queste regioni avvertono, con una comprensibile ansia, gli sguardi avidi di Serbia e Croazia, divise in tutto, ma unite dal comune desiderio di spartirsi aree dall'incerta identità etnica, culturale e religiosa. La Jugoslavia è diventata il simbolo e il concentrato di tutti quei vizi che sembravano essere stati abbandonati dalla moderna Europa avviata verso l'integrazione, la cooperazione, la convivenza pacifica. Se oggi sembrano prevalere gli aspetti deteriori di questa realtà ciò non significa che non vi siano fermenti positivi, responsabili, che rappresentano anche il frutto del!' elevato livello culturale conseguito dal paese nel dopoguerra. Dovunque si sono formati nuclei di intellettuali poco disposti a farsi trascinare nel baratro della guerra civile e che ricercano la loro identità in valori diversi da quelli del nazionalismo. Essi si stanno adoperando perché prevalga la tolleranza e perché il confronto si eserciti con il metodo del negoziato. Un frutto di queste posizioni è senza dubbio il piano di pace recentemente proposto dal Ministro degli Esteri croato Davorin Rudolf costruito su questi cinque punti: 1) riconoscimento degli Stati sovrani e indipendenti secondo il diritto internazionale; 2) soluzione pacifica di tutti i conflitti, facendo uso delle procedure e istituzioni di arbitrato previste dal diritto internazionale; 3) arbitraggio internazionale, con la funzione di pilotare il processo di dissociazione delle Repubbliche dalla Federazione jugoslava e moratoria istituzionale; 4) conclusione di un accordo di associazione tra Stati sovrani, su modello della Comunità europea; 5) fermo rispetto dei diritti umani e dei diritti delle minoranze nazionali sotto controllo interno ed internazionale. Oggi spirano i venti di guerra, ma non appena si affievoliranno l'approdo più probabile al quale la Jugoslavia riuscirà a pervenire non potrà prescindere da queste realistiche indicazioni. Tuttavia la crisi dei nazionalismi, messa così in rilievo dalla situazione esplosa in Jugoslavia, evidenzia il fatto che i processi di integrazione non possono compiersi solo sul terreno politico od economico. L'esigenza di identità non è un cascame ottocentesco, è un'esigenza moderna con tratti inediti che vanno compresi e interpretati. Pensiamo solo, per citare un esempio riferito alla Jugoslavia, alle richieste di autonomia della Dalmazia, dell'Istria, del Kossovo, anticipazioni di una serie che sarà ben più lunga. Anche di questo dovrà occuparsi l'Europa. Purtroppo lo dovrà fare quando forse ormai sarà troppo tardi per evitare di essere travolta da questa crisi delle identità, dal malessere morale e dal disagio materiale che gli avvenimenti di questi ultimi mesi stanno determinando.
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