Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 20 - settembre 1991

accuratamente), ma ancora estranee alla cultura politica o allo spazio d'intervento dei protagonisti di quel tempo. Per la cultura liberale dominante, i diritti sociali non esistevano e lo Stato non doveva occuparsene. Per la cultura socialista (ancora alle prese con la distinzione dal movimento anarchico) la questione sociale non era altro che uno strumento della «rottura» rivoluzionaria. In tale contesto, gli effetti della Rerum Novarum contribuirono alla formazione di una pratica riformista in simbiosi con le altre minoranze riformiste di quell'epoca: Giolitti e Turati. È sulla loro sconfitta nei rispettivi ambiti e quindi sulla mancanza di un incontro tra queste forze che passa la tragedia fascista con tutte le sue conseguenze negative, anche sul piano economico e sociale. Così l'Enciclica di Leone XIII s'iscriveva in una fase di passaggio nella vita del paese e ricollocava l'azione della Chiesa nel vivo delle questioni più acute poste dalle trasformazioni dell'economia e della società, proprio nel momento in cui le culture competitive con quella cristiana non erano più in condizione (o non lo erano ancora) d'interpretare o guidare i processi ormai annunciati. Anche la Centesimus Annus riparte dalla questione sociale, proprio nel momento in cui - dopo il 1989 - è evidente il rischio di una deriva sul piano sociale come conseguenza della tragica fine (e non rimpianta) dell'illusione del socialismo statalista e della presa del potere da parte del sedicente partito della classe lavoratrice in nome della dittatura del proletariato. Per la sinistra (in quegli anni e anche dopo) vi era invece una profonda differenza tra i concetti di lotta di classe e di conflitto sociale. Infatti per la cultura massimalista della sinistra, il «sociale» non ha mai avuto un'autonomia dal «politico», tranne che per il filone riformista la cui debolezza ideologica era compensata dallaforza del pragmatismo e dell'agire quotidiano. Con la Centesimus Annus, la Chiesa si candida a raccogliere l'eredità delle suggestioni care agli orfani del 1989 e a presidiare il confine verso l'altro nemico tradizionale: il liberalismo, ovvero il nemico più antico, con il quale in questi decenni la Chiesa ha magari stretto alleanza giudicandolo meno pericoloso del marxismo-leninismo, ateo e toi)JJ, BI.\\CO lXII, HOSS() •h•#hliJ talitario. Ovviamente parliamo della Chiesa ufficiale visto che sono spesso circolate alla periferia del sistema (anche se duramente represse dalla gerarchia), dottrine e teorie che si sono fatte abbindolare dal «fascino discreto» di qualche vulgata marxista sia pure in versione terzomondista. Ora però è lo stesso Eltsin, presidente della Repubblica russa, ex segretario Pcus della stessa, ai tempi di Breznev, il quale ad un giornalista che gli chiede quando fosse iniziata la crisi del marxismo risponde: «dalla nascita di Carlo Marx». Così il Papa polacco schiera le sue truppe verso occidente. Abbiamo capito che non ama quel mondo, nei suoi risvolti edonistici, consumistici, nella crudeltà della sua efficienza, nell'indifferenza del suo individualismo. Del resto, non c'è bisogno di scomodare S. Paolo: i cristiani sono nel mondo, non di questo mondo. Anche per la Chiesa, nella sua critica al capitalismo il tempo è trascorso, nè il capitalismo si esprime ancora, almeno nel mondo sviluppato, con le forme rozze e brutali che già la Rerum Novarum aveva condannato. Pertanto la cosidetta riconciliazione tra Chiesa e capitalismo (che sarebbe contenuta nella Centesimus Annus) è solo una doverosa presa d'atto che taluni valori (quali l'economia di mercato, la libera iniziativa privata, il diritto di proprietà, l'efficienza dell'impresa), originariamente appartenenti al capitalismo, sono diventati universali. Non si tratta certamente di un grande sforzo, nè di una mossa anticipatrice. Ormai a queste conclusioni sono arrivati tutti. Ma non è questo il punto che mi conduce ad esprimere freddezza e riserve sulla Centesimus Annus. Nè voglio attaccarmi alla clamorosa dimenticanza (tutta ideologica) del rapporto tra L'udienza di Pio Xli in piazza S. Pietro. I ~ 66 sviluppo-ambiente-andamenti demografici. Senza porsi questo problema non si arriverà da nessuna parte, ma il pianeta esploderà dopo sofferenze e conflitti d'inaudita e drammatica violenza. Anche se comprende pienamente l'importanza e la serietà della Centesimus Annus, ad essa non posso fare a meno di rivolgere una critica di fondo. Rimane nella Chiesa cattolica un rifiuto della società aperta, la quale è la vera vincitrice della terza guerra mondiale, quella combattuta con le armi dei valori, della politica, dell'economia. La società aperta è coeva e convivente con il capitalismo ma non vi si identifica pienamente. È la società delle contraddizioni, delle crisi, della dialettica. Non vuole essere la società migliore, ma soltanto la meno peggiore. Non delude, perché non promette. Si limita a consentire. È la società delle opportunità e dalle libertà, non è organizzata per obiettivi salvifici, ma solo sulla base di regole il più possibile giuste. La Chiesa è invece portatrice di un principio di verità intorno al quale dovrebbe essere organizzata la società. Per la Chiesa, la storia di questi decenni non è che la lotta di una verità buona che ha sconfitto quella cattiva. Così la Centesimus Annus afferma a chiare lettere che «la libertà è pienamente valorizzata dall' accettazione della verità: in un mondo senza verità la libertà perde la sua consistenza ... ». E ancora: «l'obbedienza alla verità su Dio e sull'uomo è la condizione prima della libertà». No, grazie! La questione non mi riguarda. Reduce in qualche modo dai disastri dell'ideologia scelgo il relativismo della società aperta. D'ora in poi il mio unico atto di fede sarà questo: viviamo nel migliore dei modi possibili. Gli altri si tengano pure il futuro.

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