Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 20 - settembre 1991

produzione. Tutte cose che le grandi socialdemocrazie europee e i partiti socialisti occidentali hanno da tempo abiurato. E forse, per non incorrere più in certi equivoci, sarebbe quasi opportuno che, come accennò Craxi stesso tempo fa, anche il Psi cambiasse nome». Dall'enciclica viene, inoltre, un deciso invito a non farci «soffocare tra i due poli dello Stato e del mercato: sembra, infatti, talvolta che l'individuo esista soltanto come produttore e consumatore di merci, oppure come oggetto dell'amministrazione dello Stato, mentre si dimentica che la convivenza tra gli uomini non è finalizzata né al mercato né allo Stato, poiché possiede in se stessa un singolare valore che Sta- ,{)ti. Bl\:\(:O '-Xli. nosso 1i1#i1 ii1 to e mercato devono servire (n. 49)». E mi sembra una posizione senz'altro nuova: molti problemi non possoro essere risolti né dallo Stato né dal mercato. Bisogna quindi dare spazio alla società civile, ai cosiddetti corpi intermedi, a quelle forme di intervento nel sociale che gli economisti chiamano di «terzo settore», come la cooperazione e il solidarismo. Un tema, quest'ultimo, anticipato da Giovanni Paolo II nella sua visita fatta a Napoli nel novembre scorso. «Il pricipio di solidarietà va pertanto applicato - disse il Pontefice nel discorso agli imprenditori - anche nel mondo del- ]'impresa. Esistono criteri morali, non soltanto economici alla base delle scelte operative nell'attività produttiva. Tra questi, primario è certamente il criterio del bene comune. Perseguire il profitto di per sé non è ingiusto, se il profitto è ottenuto in modo lecito e attraverso una corretta gestione dell'impresa». Personalmente penso che questo sia il tema più arduo delle moderne società industrializzate. Il sistema occidentale, per sua natura - come ha osservato di recente anche il senatore Francesco De Martino - non appare in grado di utilizzare il progresso tecnico ai fini della solidarietà collettiva. Ed è su questo tema, invece, che la sinistra, o qualsiasi forza politica, dovrebbero affrontare la grande sfida, dal cui esito dipende la loro stessa sopravvivenza. Ombre e luci, ma la polemica è sterile I consensi che hanno accolto la Centesimus Annus riflettono probabilmente anche fattori esterni al merito dell'Enciclica: dall'attivismo comunicativo di questo Pontefice, alla congiuntura internazionalmente favorevole per le iniziative della chiesa romana, al generico revival di attenzione per le espressioni del mondo religioso, e cattolico in specie, rilevabile sul piano internazionale, e che in Italia assume motivi particolari. 1. Si è notato come il riconoscimento, prima novità dell'Enciclica, della validità del sistema delle imprese e dell'economia di mercato, combinato con la richiesta peraltro di regolare il mercato, serva bene ad un papato che dalla sconfitta del comunismo cerca oggi di avvantaggiarsi per rientrare in pieno in campo politico (Mereu su Il Sole 24 Ore del 30 giugno 1991). Ma sarebbe riduttivo nascondere la forte capacità attrattiva di consenso manifestata dal messaggio sul tema specifico: tanto più di Tiziano Treu importante in quanto per certi versi inatteso alla vigilia, e condiviso anche da ambienti peraltro alquanto critici delle posizioni di Giovanni Paolo Il. Nel merito una critica è stata, mi pare, particolarmente reiterata: quella secondo cui, nonostante la modernità e laicità del linguaggio, e l'attacco ai fondamentalismi, l'Enciclica mantiene tratti di «superbo fideismo curiale» e di «presunzione interventistica» che non è pertinente al campo della chiesa (ancora Mereu e Scarpelli). Le critiche esprimono preoccupazioni diffuse, riecheggiate anche nel dibattito politico, da ultimo al congresso socialista di Bari. In effetti non si può negare che esse traggano alimento da un indubbio protagonismo papale, incisivo soprattutto nel contesto italiano e politicamente ben utilizzabile per ricompattare il mondo cattolico attorno alla Dc. Questo peraltro è un rilievo di stretta natura storico politica, alquanto legato alla situazione italiana e non nuovo, che va contrastato come tale sul piano politico. li messaggio della Enciclica è peraltro sul punto ineccepibile. Le indicazioni espresse sui temi sociali e del lavoro non costituiscono «modelli da proporre», ma orientamenti ideali. Modelli reali possono nascere solo dalle situazioni storiche ad opera delle forze sociali e politiche in campo. Tale «qualificazione» del messaggio è in linea con le valutazioni sempre sostenute dagli interpreti cattolici più illuminati e progressisti circa la natura «non modellistica» della dottrina sociale della chiesa (che in realtà ne nega il valore di «dottrina»). Ma è anche vero che questa interpretazione «laica» non è mai stata scontata: la dottrina sociale della chiesa è stata non poche volte intesa come precettiva e «strumentalizzata» al servizio di operazioni integraliste nonché politiche tout court, soprattutto in Italia. Cosicché il vederla sottolineata solennemente nel1'Enciclica è una positiva conferma.

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