Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 20 - settembre 1991

.{)!I. Bl.\'.\CO l.X11.nosso •fr•#hlii Da sinistra Carlo Carretto, Alcide De Gasperi e Mons. Sargolini al ricevimento dei parlamentari. quello di sostituire persone «buone», cristianamente ispirate, ad altre la cui ispirazione ideale si sarebbe affievolita o sarebbe assente perché priva del fondamento religioso (come sosterrebbero i fondamentalisti), il nodo non è quello che governino dei cattolici, in una sorta di prolungamento temporalistico della Chiesa, in un regime democratico di «nuova cristianità». L'attenzione alle regole indica che i credenti sono invitati a riconoscersi anzitutto come cittadini, alla pari degli altri, prima e al di là delle differenziazioni partigiane: il problema è che i governanti rispondano ai cittadini, che vi sia una corrispondenza tra consenso, potere e responsabilità. Il nodo è quindi l'investitura dei cittadini, non l'investitura ecclesiastica. Siamo allora molto al di là del pur citato Radiomessaggio del 1944 in cui si invitava il mondo cattolico ad esprimere «una eletta di uomini di solida convinzione cristiana» (p. 298), ricevendo dalla Gerarchia una sorta di mandato. L'attenzione del magistero recente, in fedeltà al Concilio, è rivolta al fatto che i principi cristiani siano coerentemente vissuti, ma a partire da un sincero disinteresse egemonico, «sulla base del superamento di investiture ecclesiastiche» come ha scritto Roberto Ruffilli. L'attenzione alle regole è poi massima nell'affrontare la delicata questione del governo mondiale: si dice infatti al par. 52 «Come all'interno dei singoli Stati è giunto finalmente il tempo in cui il sistema della vendetta privata e della rappresaglia è stato sostituito dall'impero della legge, così ora è urgente che un simile progresso abbia luogo nella Comunità Internazionale». Il pacifismo della «Centesimus Annus» non ha niente di irrazionalistico: si ribadisce la linea tradizionale della Costituzione conciliare Gaudium et Spes che invitava a superare le logiche di guerra creando una vera «autorità internazionale competente, munita di forze efficaci (par. 79 d)». Un pacifismo quindi razionale e democratico, non emotivo ne' assoluto. Siamo qui nell'ambito di applicazione del principio di sussidiarietà, il quale mira ad affidare ogni problema al livello a cui sia possibile governarlo meglio. In questo caso le esigenze della pace mondiale spingono per così dire ad «aspirare» verso l'alto parti di sovranità degli Stati nazionali per realizzare un monopolio legittimo della forza, premessa necessaria di un ordine pacifico e giusto. In altri punti del testo Io stesso principio è richiamato più frequentemente nella direzione opposta, per decentrare verso il basso poteri e responsabilità. Esso non ha più alcun significato polemico e difensivo nei confronti degli stati nazionali a partire da una difesa del ruolo sociale della Chiesa, ma assume il senso più ampio di difesa della libertà dellapersona, ceri 60 cando in ogni caso i livelli istituzionali più efficaci e responsabiliper garantirla. Questa ampiezza di prospettive rende del tutto marginale e provinciale il residuo richiamo all'unità politica dei cattolici, che continuerà ad essere ripetuto con sempre minore convinzione ed efficacia fin quando non cadrà come una foglia secca, già morta prima di cadere dall'albero. Tant'è che, come hanno dimostrato le recenti elezioni siciliane, la Dc può tenere anche senza una mobilitazione della Chiesa in favore del1' unità elettorale. Che la caduta del richiamo all'unità possa favorire una sinistra riformista non è infatti scontato. Chi votava Dc per motivi «cattolici» può continuare a farlo per motivi «laici», quanto meno per assenza di proposte migliori. Oppure la rottura dell'unità può disperdersi verso forme di protesta, da quella poco civile delle Leghe, a quella civile ma politicamente ancora debole ed incerta di Orlando. La sinistra, se non è capace di attingere al voto cattolico dopo 1'89, deve sentirsi colpevole per i propri errori: per l'arretratezza dell'area ex-comunista che solo ora sta recuperando un ritardo ideologico che poteva essere affrontato prima, e per la scelta da parte del Psi di opporsi al referendum, all'unico treno esistente per riforme istituzionali che spostano il confronto politico da una competizione basata sulle appartenenze ad una nuova fondata sui programmi. Mi permetto una critica puntuale su questo punto perché Pierre Camiti ha scritto su questa rivista che il referendum non era sistemico, non riusciva a realizzare una riforma compiuta: verissimo, ma era un referendum d'indirizzo, così come lo era stato quello del 1985 sul costo del lavoro. Che, formalmente, era solo su qualche punto di scala mobile, ma che in realtà verteva sulla modernizzazione delle relazioni sindacali e dell'economia. Il quesito non era sistemico, ma il risultato sì. Anche stavolta è passato il treno della modernizzazione, sia pure con un contenuto diverso, istituzionale e il Psi ha perso il treno, come nel 1985 fece il Pci, un treno guidato da molti macchinisti cattolici, diversi dei quali non legati in modo ideologico all'unità politica. Cattolici certo più europei e occidentali dei loro avversari referendari, dato che l'Europa delle grandi democrazie non conosce il sistema delle preferenze e neppure il nostro proporzionalismo.

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