Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 20 - settembre 1991

hanno già consumato, così come sostengono la crescita-zero quelli che sono già abbondantemente cresciuti, c'è da temere che qui la logica del capitalismo come sistema non sia stata sufficientemente approfondita. Il capitalismo non solo non teme le crisi cicliche, ma vive, si sviluppa, prospera attraverso di esse. È un vecchio pregiudizio della sinistra ortodossa e del popolarismo cristiano cattolico quello che collega lo sfruttamento capitalistico con una razionale prosecuzione, ininterrotta, della produzione e dell'incameramento del plusvalore che ne risulta. Il capitalismo in realtà guadagna negli sbalzi della congiuntura, specialmente oggi, nella fase del capitalismo finanziario, altamente mobile su scala planetaria, pronto ad approfittare di ogni aggiustamento interstiziale per vendere caro e comprare a buon mercato. La razionalità del capitalismo è curiosa, problematica, mercurialmente tesa a cambiare incessantemente i propri termini. Quel che si può con sicurezza dire è che il capitalismo non è un'opera pia. Inoltre, che a criticarlo a fondo, ma poi implo- -"!I. Hl\:\(:O l.X11. nosso 111uihld rare che le grandi banche capitalistiche abbuonino il debito estero di un Paese come, per esempio, la Polonia, si rischia di cadere nella scomoda posizione di essere nello stesso tempo critici e scrocconi del capitalismo. Un'ultima osservazione critica o, forse, più semplicemente una riserva concerne l'orientamento fondamentalmente euro-centrico di questo importante documento di Giovanni Paolo II. Sarebbe troppo semplice e in fondo sbrigativo pensare che questo Papa sogni un'Europa cristiana dall'Atlantico agli Urali e che quindi si ponga storicamente come il restauratore del sacro romano impero. Ma già il dubbio è di per sé sufficiente a dare i brividi, tanto è lo scarto fra questo sogno, ben comprensibile e persino encomiabile nel patriota polacco, figlio d'una tradizione che ha fermato i Tartari alle porte di Varsavia, e ciò che oggi occorre all'umanità, in una fase storica in cui lo Stato-nazione è entrato nella sua crisi definitiva e non si dà più alcuna cultura o religione storica positiva che, da sole, possano garantire il senso e l'orientamento dell'ulteriore sviluppo umano. Per questa ragione, va considerata la necessità storica, oggi, di una Chiesa non solo con la porta aperta, ma, anzi, di una Chiesa, in sé, aperta, secondo le speranze di Simone Weil e, ancora più recentemente, di Karl Rahner. Si tratterebbe di una chiesa non più legata ad una singola eredità culturale, ma al contrario in grado di porsi come crocevia di tradizioni, di co-tradizioni o tradizioni «contaminate» e «meticciate», le sole che siano positive e compatibili con la società multirazziale e multiculturale che batte alle nostre porte. Per questa ragione, inoltre, è forse necessaria una <<fedesenza dogmi», che potrà dare senso e orientamento, anche sociale, alla grande transizione dalla religione come prerogativa esclusiva e dominio monopolistico di una singola chiesa, eretta in struttura ierocratica centralizzata, alla religione come religiosità, come esperienza personale profonda, «cattolica» nel senso etimologico originario del termine, ossia «universale». E se il Papa si impadronisce dei valori altrui? L cosa che mi colpisce di più, e che mi inquieta, nell'Enciclica «Centesimus Annus», è l'assunzione da parte del Papa di concetti e di valori elaborati dalla società laica lungola storia politica e scientifica degli ultimi due secoli, con una sicurezza di giudizioche fa supporre l'assoluta mancanza di consapevolezza o peggio lo sprezzantediniego di ciò che tutti ormai sappiamo bene: che «la coscienza storicaè coestensiva alla vita» (Gadamer) echeanche le religioni, compreso il cristianesimo,ne condividono il percorso. In altri termini, quello che fa paura nel di Ida Magli pensiero del Papa è l'assenza di qualsiasi riflessione sulla realtà della Chiesa, sul1'evolversi attraverso il tempo sia delle sue convinzioni teologiche che della sua azione concreta, inestricabilmente connesse tanto le une che l'altra con l'itinerario politico, filosofico, scientifico della società in cui era immersa. Questo rifiuto di guardare al proprio passato, questa volontà di accreditare ab aeterno alla Chiesa valori che sono stati invece faticosamente raggiunti dalla coscienza laica moderna, il più delle volte in contrapposizione o in anticipo sulla coscienza religiosa, incute un vero timo : 57 re all'antropologo, dato che è proprio con l'acquisizione del punto di vista culturale, sempre relativo, che le scienze occidentali hanno imparato a dubitare delle proprie sicurezze. Il Papa adopera come se fossero suoi termini, concetti, valori appartenenti al pensiero laico e scientifico: «cultura», «lavoro», «merce», «proletario», «democrazia», «ecologia», «diritti universali» testimoniano l'occidentalità della Chiesa di oggi, ma Wojtyla sembra non avere coscienza del fatto che anche i valori che al presente ci appaiono indubitabili sono stati raggiunti da poco tempo

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