Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 20 - settembre 1991

mentali nel cammino storico del pensiero sociale cattolico ma, nella continuità, sono stati anch'essi investiti da un «rinnovamento» che già si sente vivo con le encicliche di Giovanni XXIII e di Paolo VI intorno al Concilio e che si fa più marcato con la Popolorum Progresso di Paolo VI e con le tre encicliche sociali di Giovanni Paolo Il. Emerge in questo tempo quella nuova categoria virtuosa - esplicitata con ricchezza di indicazioni nella Sollicitudo rei socialis - che è la «interdipendenza» la quale getta ampia luce sui principi della sussidiarietà e della solidarietà. L'interdipendenza fa sì che il discorso sullo Stato non possa e non debba limi tarsi ad intersecare dei corpi intermedi ma, in qualche modo nel ribadire questo necessario rapporto, debba allargarsi al tema della «sovranità» degli Stati nelle reciproche interferenze e nel concorso dei poteri conferiti o conferendi, ad organismi continentali ed internazionali nonché nel necessario bilanciamento con il principio della «autodeterminazione dei popoli» e del «rispetto garantito delle etnie». L'esercizio della virtù della interdipendenza ha come immediato riflesso l'emergere della sfida della mondializzazione, per cui il problema Est-Ovest non si può riguardare scisso da quello Nord-Sud dal mondo, come il superamento (parziale; e la Cina?) del collettivismo socialista non può essere scisso da una necessaria revisione del liberismo capitalista perché questo non degradi né in «puro capitalismo» né in «capitalismo selvaggio». Il discorso su un esame approfondito e critico del pensiero sociale della Chiesa Cattolica è monco ove non si tenga conto della virtù della interdipendenza ma è monco soprattutto per chi, parlando di sussidiarietà e solidarietà, dimentica che il cardine, il perno, di tutta la concezione sociale cristiana è la «persona umana». È alla luce dell'uomo e dell' «errore antropologico» che la Centesimus Annus valuta i sistemi economici contemporanei, la concezione dello Stato e la visione di una cultura sociale. La dottrina della Chiesa guarda alle società che non è certamente il primo valore; la priorità spetta alla persona che la Chiesa indica ai credenti come il valore penultimo rispetto a Dio, unico assoluto; persona che i non credenti po- ~ll.lU\:\(:0 lXll.llOSSO •b•#hld trebbero bene assumere come valore ultimo. La luce della fede cattolica sulla persona umana genera un primo fondamentale nucleo di valori antropologici ed etici per i quali la dottrina sociale della Chiesa richiede rispetto garanzia promozione da parte di singoli, collettività, organizzazioni statali e sovranazionali. Una politica cristianamente ispirata ingloba questo primo e fondamentale nucleo di valori, per alcuni dei quali c'è l'aperta convergenza e cooperazione di una cultura laicista ispiratrice anch 'essa di politica e per altri v'è, invece, una esplicita opposizione o una implicita indifferenza. Su questo terreno storico - e non dogmatico - non deve perciò meravigliare il fatto che la Chiesa, la comunità cristiana guardi con maggiore attenzione ed interesse a quelle forme di organizzazione socio-politica che dicendosi di «ispirazione cristiana» assumono la tutela sociale di alcuni valori umani che hanno una valenza gerarchica diversa e non sopprimibile rispetto ad altri valori. La Chiesa non vuole essere contro nessuno; vuole contrastare il peccato e una visione dell'uomo che non rifletta la dimensione teocentrica che la Scrittura e la Tradizione cristiana bimillenaria presentano. Il Concilio ha sottolineato come la Chiesa in questo processo bimillenario si sia avvalsa delle scienze e delle discipline umane e come le altre culture abbiano tratto motivi essenziali della loro impostazione da valori evangelici sempre dalla Chiesa stessa proposti. V'è stato un reciproco processo di «conversione» che deve sostanziare un dialogo franco e aperto che in tanto è dialogo in quanto è espressione di identità che matura. In questa maturazione si sono verificate non poche reciproche conversioni. Il processo è aperto. Ma allo stato delle cose non si capirebbe perché la Chiesa, pur nel pieno riconoscimento della aconfessionalità della gestione politica, dovrebbe tenere in eguale considerazione i partiti che assumono nei loro programmi e sostengono con l'iniziativa politica che l'aborto è quasi sempre ammissibile (vedi legge 194) e partiti che, invece, ritenendo il concepito «persona» gli attribuiscono un valore estremamente più elevato e ne richiedono dallo Stato una tutela e una promozione assai più ampie. Quest'ultima visione è certamente più vicina a quella di «persona umana» nella con55 cezione cattolica. E poiché non è certamente questione di poco conto dal punto di vista della fede e della morale, sarebbe strano il contrario: e cioè che la Chiesa non invitasse i suoi fedeli a guardare a fondo i programmi dei partiti politici e a sceglierecon discernimento perché l'uomo abbia il rispetto che merita una «creatura di Dio» e la città dell'uomo si costruisca per quanto è possibile come riflesso e anticipazione della città di Dio, sempre nel rispetto della «legittima» autonomia delle realtà temporali secondo la -chiara indicazione del Concilio. E quel che si è detto per l'aborto vale per l'eutanasia, per la libertà della coscienza religiosa, per l'insegnamento della cultura religiosa, per la libertà e il sostegno del pluralismo culturale e, quindi, anche delle scuole cattoliche, per l'accoglienza dei più poveri e, quindi, degli immigrati in un circuito di solidarietà mondiale che richiede una politica non dell'immediato ma di prospettiva e di aiuti reciproci fra i paesi sviluppati, per la costruzione di una coscienza mondiale alla pace che non ammette più guerre di nessun tipo e tanto meno come quelle dell'Iraq, che ancora non hanno risolto nulla circa le grandi questioni del medio-oriente e che hanno, invece, aperto - Dio non voglia - lo spiraglio ad ulteriori azioni di morte. La coscienza di pace non è contro il diritto internazionale: è per un diritto rispettato per convenzione e per convinzione o, comunque, con mezzi coattivi che non raggiungono il disastro bellico. Tali questioni - con altre che pur si differenziano in Italia nelle prospettive del partito socialista o del partito della democrazia cristiana - sono questioni politiche che attengano alla costruzione della polis e alla realizzazione del bene comune. Il giudizio politico per il cristiano non può essere indifferente; e così quello della generale comunità cristiana che motiva un discernimento etico su cui si fonda il conseguentegiudizio politico del cristiano. Credo che sarebbe il caso di non meravigliarsi più di questa dimensione della «questione etica», con il suo naturale riflesso politico, ma piuttosto di affrontare con determinazione e buona volontà le questioni sostanziali per ulteriori reciproche conversioni che generino politiche sempre più per l'uomo, la sua dignità, la sua vera libertà, la sua promozione.

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