in poi - precisa che «la Chiesa non ha modelli da proporre. I modelli reali e veramente efficaci possono solo nascere nel quadro delle diverse situazioni storiche, grazie allo sforzo di tutti i responsabili che affrontano i problemi concreti in tutti i loro aspetti sociali, economici, politici e culturali che si intrecciano tra loro»; a questi - i politici - «la Chiesa offre, come indispensabile orientamento ideale, la propria dottrina sociale». Coniugare insieme motivazioni religiose - «orientamento ideale» - e un laico impegno politico è una continua ricerca per i cristiani; e forse per chi non ha il dono della fede religiosa può essere di difficile comprensione; ma lo è addirittura il ruolo dei cristiani nel mondo. Già nel terzo secolo Diogneto chiese, a un anonimo saggio del tempo, di essere informato sul «paradosso» che sono i cristiani nel mondo; e la risposta fu che «i cristiani non si distinguono dagli altri uomini nè per territorio, nè per lingua, nè per il modo di vestire ... Non abitano mai città loro proprie, non si servono di un gergo particolare, nè conducono uno speciale genere di vita. Si conformano alle usanze locali nel vestire, manifestano il meraviglioso paradosso, riconosciuto da tutti, della loro società spirituale ... Ogni terra per loro è patria, ma ogni patria è terra straniera ... dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo». Così il testo del 3 ° secolo. Ma il credere alla trascendenza, allora come oggi, non solo non esclude l'impegno per i giorni che si vivono; anzi, chi ha fede religiosa sa che la conquista del «domani», il tempo senza fine, «dipende» dal suo comportamento nel mondo. Se abbiamo presenti questi dati, è chiaro che un cristiano ha un approccio «interno» alla sua religiosità a un documento della Chiesa, e dunque anche a questa Enciclica; ma chi cristiano non è, può averne un altro: i due modi diversi di avvicinarsi allo stesso documento-messaggio non sono affatto destinati a essere in rotta di collisione. L'Enciclica non è riconducibile a programma politico di qualcuno; rifiuta di essere - per dichiarazione del suo Autore - una ideologia o una «terza via» tra capitalismo e liberalismo; ma la Sua «ispirazione», certo non retorica o astratta, ma assolutamente concreta, si rivolge, come dalla «Mater et ..L)ll. BI\:\CO l.XII.HOSSO 1111 #hlA Panoramica notturna su piazza S. Pietro. magistra» di Giovanni XXIII in poi, a «tutti» gli uomini; nella «Centesimus Annus» si parla di utilità della collaborazione di tutte le forze di tutti gli uomini di buona volontà, anche di chi «non confessa religione». Credo che l'onestà intellettuale di tutti richiami una lettura senza pregiudizi di questo come di altri documenti, che si impongono alla comune attenzione con una forza - l'esaltazione della ispirazione e il rifiuto della ideologia - tanto più evidente oggi, quando tutti gli ideali politici che si volevano assoluti hanno mostrato la loro drammatica assenza di fondamento, e nel momento in cui avvenimenti imprevedibili e sorprendenti ci richiedono un intenso sforzo di aggiornamento delle categorie culturali e politiche finora utifizzate. Il Cardinale Etchegaray, presentandola alla sala Stampa Vaticana, avvertiva che questa Enciclica «non si lascia leggere in diagonale: bisogna imparare a leggerla riga per riga ... non si presta a prelievi selettivi, bisogna prenderla tutta intera». Perché è un tutto organico e le estrapolazioni (di solito utilizzate pro o contro tesi precostituite) sono poi la spia di quanto spesso accade: il passaggio dagli applausi alle ingiurie, e viceversa, magari a giorni alterni, per lo stesso personaggio. Il Papa è un «Capo» religioso, un maestro di dottrina; propone valori, non li impone; ma non gli si può chiedere di essere agnostico, di rinunciare ad esporre la «sua» verità. Non lo si può giudicare, a seconda delle parti del suo messaggio, «moderno» o «superato»; si può legittimamente dire che in alcune si concorda con lui, in altre no. Ma chiediamoci, tutti, se non sia degno di attenzione il «metodo» con cui il messaggio viene proposto; è nella «Centesimus Annus»: «non essendo SI ideologica, la fede cristiana non presume d'imprigionare in un rigido schema la cangiante realtà socio-politica e riconoscere che la vita dell'uomo si realizza nella storia in condizioni diverse e non perfette ... Il cristiano vive le libertà e la serve proponendo continuamente ... la verità che ha conosciuto. Nel dialogo con gli altri uomini egli, attento a ogni frammento di verità ... non rinuncerà ad affermare tutto ciò che gli hanno fatto conoscere la sua fede e il corretto esercizio della ragione». Ma se non esiste nessuna verità ultima la quale guida e orienta l'azione politica, allora le idee, le convinzioni possono essere facilmente strumentalizzate per i fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia. Il senso del dibattito che si è registrato anche dopo la «Centesimus Annus» è tutto qui, e impegna i cristiani ovunque operino: se i valori in cui credono debbano essere ricondotti ad una «etica personale» (al più familiare) o se il passaggio ad una «etica pubblica» non li legittimi - perché a pieno titolo cittadini - a trovar gli strumenti per cercare di tradurli nella vita sociale, economica, politica. Far coincidere laicità o modernità con agnosticismo, eridurre la libertà solo a tolleranza mi sembra, oggettivamente, assai riduttivo per chiunque si ponga di fronte alle «cose nuove» del nostro tempo. Non è possibile scambiare la fede religiosa per sentimentalismo che conduce ad astratta evasione. Ai cristiani si ricorda spesso, e giustamente, l'antico monito di S. Agostino che «la fede senza le opere è morta»; fra queste «opere» ci sono anche quelle che impegnano a realizzare la giustizia e la pace.
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