Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 20 - settembre 1991

lici, feriti in passato - ma anche al presente - da comportamenti della Chiesa e del Papa in chiave autoritaria e trionfalistica, hanno colto nell'Enciclica, appunto, l'inno di trionfo del papa polacco che, sconfitto il pericolo rosso, si appresta ad avanzare una candidatura all'egemonia sulle società del benessere, attraverso la critica dei sistemi economici di profitto e della cultura laica gelida di speranze. Queste critiche, al di là certo dell'intenzione di chi le ha avanzate, hanno trovato poi eco in quei Ui•#hld settori laici che già si erano scontrati con il richiamo del Papa nei giorni della guerra e vi avevano letto l'incapacità dei credenti a far propri i valori laici della democrazia, del diritto, del progresso tecnico. Questo confronto è rimasto, dai giorni della guerra ad oggi, tuttora in sospeso: il dibattito - esploso e rapidamente consumato - intorno al congresso del Psi non si è cimentato con questo alto profilo. In realtà sembra a me che la contrapposizione non fosse, nei giorni del Golfo, tra sostenitori dei valori laici e non, ma piuttosto tra quanti - assumendo anche nella problematica storico-politica le conseguenze del riduzionismo - pensavano che il bisturi infallibile della guerra tecnologica potesse ripristinare il diritto passo dopo passo (prima quello del Kuwait, poi quello dei palestinesi o dei kurdi, ma prima di tutti quello del petrolio) e quelli che tentavano di mettere al centro le sofferenze degli uomini - Israeliani, Arabi, Kurdi - per ricercare, per piccoli passi, soluzioni complessive. Un messaggio per tutti senza barriere strumentali D i fronte all'Enciclica «Centesimus Annus», come ad ogni atto del «Magistero sociale» della Chiesa (ed è ormai un insegnamento «centenario» ci sono sempre reazioni disparate, dentro e fuori il mondo cattolico; soprattutto quando si ricorda come fa Giovanni Paolo II nell'Enciclica che la dottrina sociale della Chiesa è «parte della evangelizzazione», e più precisamente che i problemi di cui si parla appartengono alla «teologia morale», ci si chiede perché, se è un messaggio religioso, esso si cala, senza remore o incertezze, a trattare di problemi economici e sociali, esprime giudizi politici, si confronta con esperienze storiche. E più ancora che nesso esista tra ispirazione religiosa e impegno sociale e politico. È proprio possibile tener separati rigorosamente i tracciati dell'agire politico con quelli della razionalità etica? La grande intuizione della «Rerum Novarum», nel 1891, fu accettare le sfide delle «cose nuove» che andavano emergendo nella società, e affrontarle «in virtù del suo Ministero apostolico», colmando la grande distanza che separava la sfera della vita individuale e familiare dalle responsabilità sociali, con la solenne proclamazione che era necessario un riassetto delle strutture econodi Maria Eletta Martini miche e sociali «in nome della esigenza della giustizia». La dichiarazione di Leone XIII di «non poter tacere» di fronte ai bisogni degli uomini del suo tempo, mi ricorda come egli anticipasse allora il dovere della Chiesa espresso nelle parole con cui si inizia la Costituzione «Gaudium et Spes» del Concilio Vaticano li: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore». È qui la sostanza vera della «incarnazione» nella storia di un messaggio religioso: la Chiesa è «altro» dal mondo ma, proprio per questo in esso si incarna, e ne diventa parte essenziale; a imitazione del Signore che essendo Dio, «altro» dagli uomini, sceglie di diventare uomo. Non da «estranea» dunque la Chiesa prende criticamente posizione su temi come la pace, lo sviluppo, la solidarietà. Il discorso ecclesiale non contrappone oggi una «societas perfecta» alle società storiche, di per sé imperfette e limitate. Ma è l'appello di chi, appartenendo a pieno titolo a questa realtà e 50 tuttavia non esaurendo in essa la propria identità, avverte le incognite di un futuro in cui sempre più l'esercizio di una responsabilità morale universale risulterà decisivo al fine di garantire una convivenza in pace e giustizia tra popoli, cultura, sistemi sociali differenti. Chi cambia questo atteggiamento per «temporalismo» giudica con categorie storicamente superate anche per volontà della Chiesa, il cui insegnamento sempre più si pone come sollecitazione al discernimento, come uno sguardo rivolto alle mutevoli realtà storiche dal punto di vista di una peculiare «esperienza in umanità», anziché come una raccolta dottrinale di soluzioni vincolanti. L'analisi e l'interpretazione degli avvenimenti, per una politica che coniughi laicità ed ispirazione cristiana, vanno rinnovate costantemente, di pari passo con il loro svolgersi. E così l'ispirazione ideale mantiene la propria attualità senza irrigidirsi nell'ideologia. Per quanto la Chiesa, esprimendo il messaggio sociale - come questa Enciclica - può incontrarsi con chi su versanti e con motivazioni diversi, tratta gli stessi problemi che caratterizzano un tempo, un luogo, una concreta realtà. La «Centesimus Annus» - come sempre la Chiesa dal Concilio Vaticano Il

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