Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 20 - settembre 1991

ottimale della proprietà stessa al fine del bene comune. Una secolare tradizione, dai padri della Chiesa alla scolastica, fino alla «Rerum Novarum», vedeva nell'uso sociale della proprietà una sorta di vincolo correttivo: qui - con la forte accentuazione con cui viene proposta - la responsabilità sembra riassumere in sè tutto il significato della proprietà. Quando si esce da questo contesto - avverte il Papa - il sistema economico di profitto schiaccia l'uomo ma anche la natura, che allora si ribella: da qui l'attualità drammatica della questione ambientale. È questo il capitolo 37 dell'enciclica, in cui la lettura della distruzione dell'ambiente come effetto dello scatenarsi dei sistemi economici basati sull'enfatizzazione del profitto è assolutamente coincidente con la denuncia del movimento ambientalista. Questa lettura fa della questione ambientale non una passione settoriale di belle anime, ma la colloca al centro del sistema econornico-industrale: è appunto la priorità della questione ecologica che l'ambientalismo cerca di proporre alla cultura politica e alla opinione pubblica. Ma qual è il motore di questa prospettiva di solidarietà sociale indicata dal Papa, perché esso dovrebbe funzionare? Perché i correttivi agli automatismi del sistema del libero mercato dovrebbero mettersi in moto là dove altri schemi di società - «il socialismo reale» per l'appunto - non hanno funzionato? E qui la risposta esce dalla politica e dall'economia e trova il suo fondamento nella morale. Il comandamento della solidarietà, della realizzazione di condizioni in cui gli uomini nei paesi avanzati, come nelle più dolorose aree del sottosviluppo possano evolvere al meglio delle potenzialità è un imperativo, una sorta di «a priori» metapolitico che nasce da fondamenti antropologici e, ancor più, per i credenti dall'essere figli di uno stesso Padre. Questa è la tensione che deve ispirare l'attività politica e sociale, una tensione che per i credenti è l'attesa che prepara il Regno di Dio. In questa impostazione vi è dunque un ambito proprio della politica ma la sua autonomia non è assoluta: al contrario, essa è vincolata a dei postulati di carattere morale condivisibili da tutti gli uomini perché uomini. In particolare, nell'Enciclica vengono sottolineati dirit- ,Ptl. Bl\:\(:0 lXn. nosso ■ it•#hld ti degli uomini che devono essere salvaguardati perché uomini. E così, di seguito, i comportamenti indicati, la solidarietà prescritta come regola normale, tutto ciò viene rinviato ad un fondamento del tutto laico, riconoscibile da ogni uomo, credente o no. In questo modo, dunque, si propone un criterio di verifica, di valutazione delle strategie politiche basato sulla morale della solidarietà, assunta come somma razionalità a partire dalla realtà degli uomini. È questa l'impostazione di fondo dell'Enciclica, utile e condivisibile su cui si basa, in particolare, il giudizio sull'efficacia e la razionalità della lotta non violenta. Una proposta a tutti gli uomini che assume dunque la legge dell'amore come fondamento dell'antropologia, ma trova il suo limite nel mistero del male tanto da riproporsi la conclusione che comunque «non c'è vera soluzione della questione sociale fuori del Vangelo». La conclusione secondo la quale «è unendo la propria sofferenza per la verità e per la libertà a quella di Cristo sulla Croce che l'uomo può compiere il miracolo della pace ed è in grado di scorgere il sentiero spesso angusto tra la viltà che cede al male e la violenza, che illudendosi di combatterlo, lo aggrava», ripropone l'interrogativo drammatico che si intreccia con la proposta «laica» dell'Enciclica: la non violenza, la solidarietà sono realmente praticabili senza la piena accettazione del Vangelo? Un'interrogativo che risuona nelle nostre coscienze quando misuriamo ad esempio, la deludente testimonianza che ìl pacifismo ha dato nei giorni della guerra quando alla durezza delle armi non siamo stati capaci di opporre la durezza della non violenza non nelle strade delle città, ma là dove si moriva. Più in generale, si ripropone un dibattito che investì la cultura teologica alcune decine di anni fa: come la gravitazione newtoniana regola il moto dei pianeti, così la legge dei comportamenti umani va scavata nel profondo, al di là del divenire dei comportamenti storici, e là si troverà, come vera antropologia, la legge dell'amore. Dalle pagine di De Lubac («Le Surnaturel») alla provocazione di Dossetti («meno carità e più diritto»), quel dibattito arroventò allora una generazione, attratta tra i poli della profezia e dell'integrismo. Il Papa polacco ha voluto immergere questi contenuti in una cornice fortemente anticomunista in cui, appunto, termini come marxismo, comunismo e sistema socialista vengono usati quasi come sinonimi e la ricostruzione delle vicende storiche - i fascismi, la società dei consumi come risposta al rischio del marxismo - appare spesso ideologica e forzata. Condannare la prospettiva statuale del comunismo o l'errore antropologico del marxismo poteva forse essere fatto riconoscendo, per contro, la potenza di quegli strumenti d'analisi dell'economia e della società che la teoria marxiana ha prodotto. E del resto, quasi nel timore di utilizzazioni di parte, ci si affretta poi a proclamare che «è inaccettabile l'affermazione che la sconfitta del cosiddetto socialismo reale lasci il capitalismo come unico modello di organizzazione economica». Ma è poi questo dibattito materia appropriata ad un'enciclica? Esso tuttavia occupa una parte amplissima del documento che diviene così un testo in cui gli slanci prof etici si mescolano a lunghe parti di analisi sociologica e di ricostruzione storica certamente opinabili e su cui appare quanto meno azzardato impegnare il magistero della Cattedra. Per di più, queste parti rischiano di far perdere limpidezza all'assunzione di fondo del documento che sopra sottolineavamo - una politica a misura della solidarietà - che, giustamente, il Papa fa discendere da una riflessione sull'uomo rivendicando alla Chiesa su ciò il diritto di insegnare. In conclusione. Questo testo, sfrondato delle sue parti a nostro avviso inessenziali e discutibili, ripropone un'interpretazione della natura dell'uomo, chiamato al comandamento dell'amore e legge i fallimenti delle società nella distanza da questa legge di comportamenti. E tuttavia, per colmare questa distanza, è necessario riflettere sul mistero di Dio. È difficile, a prima vista, comprendere perché in Italia, la folla dei commentatori si sia lanciata su binari usuali, ma abbastanza miseri, rispetto al nucleo di questa riflessione. Da una parte commentatori laici, soprattutto politici, smaniosi di conquistarsi benevolenza dalla Chiesa e perciò prodighi di consenso. Dall'altra catto-

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