la necessità di un impegno nella storia derivasse una tentazione di autosufficienza; se ne venisse la convinzione che ogni altro prodotto del pensiero umano non può che essere erroneo, allora il rischio di veder ridotta la dottrina sociale a teoria politica e la fede a ideologia sarebbe, come è già stato nel passato, molto forte. Se, al contrario, quella stessa ispirazione si pone come attitudine alla ricerca continua, alla continua messa in discussione dei risultati storici raggiunti; se si manifesta come contributo al faticoso ed autonomo operare dell'uomo nella storia, allora può aprirsi una stagione straordinariamente nuova e feconda. Altre tradizioni politiche, altre ispirazioni culturali si stanno in questi anni misurando con la ricerca attorno alla integrale umanità degli esseri umani. L'errore di riduzione dell'uomo all'economico che è oggetto della riflessione dell'Enciclica è anche al centro della critica del movimento delle donne, che non a caso rivendica il riconoscimento del valore della sfera delle ,Qtl.Hl\:\(:O '-Xli. HOSS() 1111 #hld attività della riproduzione. E non costituiscono forse critica al produttivismo e all'economicismo di tanta parte delle politiche del movimento operaio, come della tradizione liberale le elaborazioni dei movimenti ambientalisti, attorno alla necessità di uno sviluppo ecologicamente sostenibile? Le straordinarie novità cui stiamo assistendo nei rapporti tra Stati Uniti e Unione Sovietica non rappresentano la testimonianza del poderoso e per tanti versi drammatico sforzo di rinnovamento a Est e della consapevolezza a Ovest di non poter fare a meno di questo rinnovamento? Gli anni che stiamo vivendo ci obbligano a misurarci continuamente con il nuovo, mettono in discussione convinzioni consolidate, pongono all'ordine del giorno obiettivi fino a poco fa confinati nel regno delle utopie. L'interdipendenza, lo sviluppo compatibile, il governo mondiale, la nuova coscienza delle donne sono concetti nuovi per tutti. Non so se si possano vivere queste sfide in termini di dialogo-competizioneconfronto tra culture diverse. Il rischio è che tutto si risolva in una contrapposizione un po' stantia tra «pensiero laico» e «pensiero cristiano». E ciò può accadere a quanti assumono le parole della Chiesa come integralistica bandiera opposta al declino dell'Occidente, sia a quei laici che asserendo la crisi radicale del pensiero laico, sembrano provocatoriamente arrendersi o, al contrario, auspicano la rinascita del pensiero laico quasi in antagonismo a quello cristiano. La fine della guerra fredda ci offre un'altra opportunità: dar vita ad unaricerca comune, ad una feconda interazione, mettendo a frutto tutte le energie e le potenzialità di coloro che non si rassegnano allo stato delle cose presenti. Occorre coraggio per avviarla. Il coraggio di disporsi a divenire in parte diversi da quello che, naturalmente in modo diversi, siamo stati finora. Il problema di nutrire la politica di valori e di coerenze, fuori da ogni pretesa totalizzante è oggi problema di tutti, anzi è il vero problema comune. Il f andamento antropologico della socialità L a «Centesimus Annus» contiene - seppur appesantita da un amplissimo materiale di ricostruzione storica e di un interpretazione sociologica - una comprensione essenziale della realtà sociale ed una indicazione convincente per operare in questa realtà, ma il carattere dominante del documento non mi sembra tanto l'insegnamento morale quanto il fondamento antropologico di questo insegnamento ed è perciò, anche da parte laica, che questo testo dovrebbe essere discusso nel merito. Il tentativo che viene compiuto di fondare una antropologia riconoscibile da tutti gli uomini - credenti o no - di Gianni Mattioli approda tuttavia ad un modello di comportamenti che è molto prossimo a quello che Ge ù Cristo propone nel Discorso della Montagna e al paradosso della Croce. Ma possono gli uomini prescindere da ciò? Il testo di Giovani Paolo II - e in esso l'ampia riproposizione della «Rerum Novarum» - descrive lo scenario del- ! 'ingiustizia e, per conseguenza, della sofferenza umana e non esita a sostenere che «si può giustamente parlare di lotta contro un sistema economico inteso come metodo che assicura l'assoluta prevalenza del capitale, del possesso degli strumenti di produzione e della terra rispetto alla libera soggettività del lavoro dell'uomo». L'alternativa a questo non è il marxismo, o il comunismo o il sistema socialista. Ciò che il Papa ripropone è un riformismo attento - per responsabilità dello Stato e delle forze politiche - alla salvaguardia dei più deboli, dei diritti dell'uomo «perché uomo»: la proprietà, l'impresa, il mercato, pur legittimi, debbono essere gestiti con responsabilità nei confronti di tutti gli uomini; in particolare il diritto di proprietà, nel senso complesso che a questo termine deve essere attribuito nelle attuali società, altro non è che una precisa responsabilità per una gestione
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