Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 20 - settembre 1991

~!l,IU\\(:O lX11.nosso iit•#hld Una apertura al nuovo, • senza egemonie ' E certamente complesso definire secondo i canoni usuali l'Enciclica Centesimus Annus. È difficile affermare che l'Enciclica sia la semplice conferma del rifiuto, da parte della Chiesa cattolica, del mondo moderno. Altrettanto complicato però è sostenere che rappresenti la definitiva riconciliazione con la storia segnata dalle rivoluzioni dell'89 e del '17. Sarebbe altresì azzardato dire che l'Enciclica ribadisca un sostegno alle politiche e, di conseguenza ai partiti, di «ispirazione cristiana» che pure hanno informato di sè tanta parte dell'Europa nel secondo dopoguerra. Ha fatto scalpore, ad esempio, che il documento del Papa contenga ad un tempo la denuncia delle ingiustizie e delle alienazioni della società capitalistica e l'accettazione delle regole del mercato e della libera imprenditività. Eppure non si tratta di una impostazione inedita. Già nella «Rerum Novarum» e poi nel complesso della dottrina socialecristiana, si è perseguita l'idea di poter mitigare e correggere gli eccessi del capitalismo attraverso l'intervento dello Stato e dei «corpi intermedi». Nella CentesimusAnnus non si trova in effetti nessuna demonizzazione del mercato, ma neppure vi si può leggere una qualunque forma di «idolatria» della libertà economica. È tuttavia chiara la consapevolezzache non è sufficiente affidarsi alle virtù intrinseche del mercato per affrontare e risolvere le sfide che l'umanità associata ha di fronte. È proprio questo tuttavia il nodo che è di fronte a tutti i movimenti politici cheoggi non rinunciano a battersi per un mondo più giusto e più umano. È ancora drammaticamente aperto di fronte a tutti il nodo di come coniugare, come rendere compatibili, libertà e uguaglianza, un binomio che si è storicamente contrapposto e separato. di Giulia Rodano Gli eventi straordinari e drammatici del 1989 pongono tutti in una situazione nuova. «La stagione più che quarantennale della guerra fredda, della contrapposizione ideologica, statuale, militare tra sistemi politici, si è conclusa. Oggi, nella nuova fase che si è aperta, cade ogni giustificazione storica sia per coloro che avevano pensato che all'uguaglianza si fosse storicamente costretti a sacrificare la libertà, sia per quanti hanno ritenuto che povertà, emarginazione e disparità fossero il prezzo inevitabile della libertà. Sembrano, cioè, giunte alle loro colonne d'Ercole tutte le grandi culture politiche che hanno animato e nutrito la storia degli ultimi quaranta anni. Come interpretare altrimenti la crisi non solo finanziaria, ma anche di risposte della grande politica sociale del riformismo socialista dell'Europa occidentale? Quale spiegazione darsi del cedimento non solo politico, ma persino culturale, del solidarismo, anche di quello di ispirazione cristiana, nell'ultimo decennio di modernizzazione neoliberista? I decenni di contrapposizione frontale ci hanno tutti profondamente segnati. La stessa dottrina sociale della Chiesa è divenuta in questo periodo bandiera politica di parte. Insomma la fine drammatica del tentativo dell'Est europeo, non solo non travolge le aspirazioni e i bisogni per rispondere ai quali quell'esperimento era sorto, ma non lascia reali vincitori sul campo. Lascia invece aperta una grande sfida. Identificare una prospettiva credibile per il Terzo Mondo, cercare di risolvere i problemi di nuova povertà e di alienazione presenti nei paesi sviluppati, sostenere senza tentazioni annessionistiche il processò di rinnovamento dell'Est, costruire un nuovo, democratico, multipolare governo mondiale, non è compito che possa essere assolto senza un profondo rinnovamento di tutti i tradizionali modi di pensare. In questo quadro si è collocato il messaggio dell'Enciclica papale. Nel testo del Pontefice si cerca di fare i conti con le «res novae» determinate dall'89. La Centesimus Annus sembra mantenersi nel solco della accezione della dottrina sociale affermata dal Concilio; la Chiesa non pretende di fornire ricette politiche valide per tutti. La dottrina sociale è invece una parte della teologia ed è quindi «incitamento all'azione», alla autonoma riflessione dei credenti. Da questa concezione discende ed è fortemente affermato nel testo pontificio un esplicito punto di vista. «Si è visto come è inaccettabile l'affermazione che la sconfitta del cosiddetto socialismo reale lasci il capitalismo come unico modello di organizzazione economica», è scritto al par. 35. E ancora al par. 34 si afferma che «esistono bisogni umani che non hanno accesso al mercato» e che «esiste un qualcosa che è dovuto all'uomo perché è uomo in forza della sua eminente dignità», la quale è connessa, nell'Enciclica, alla «libertà umana integrale, il cui centro è etico e religioso». Si pone cioè, sulla base del riferimento alla natura trascendente dell'uomo, il problema di una «rifondazione», di un «ricentramento» in termini di valori dell'organizzazione della società. Vi è un grande valore nell'invito di Giovanni Paolo II a non accontentarsi degli eventi de11'89, a misurarsi con le ingiustizie e con le sofferenze del nostro mondo. Vi è anche, in questo, il segno di un nuovo temporalismo? La tentazione di una nuova stagione di supplenza della Chiesa nei confronti di un mondo che si giudica confuso e disperso? Non necessariamente. Se dal bisogno di far scaturire dalla propria scelta di fede anche

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