Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 20 - settembre 1991

~.Ll,BIANO) 0(11, H.OS...',() iii•iil•P che doveroso riconoscimento è stato dato a chi, come Pacciardi, aveva sottolineato l'importanza di tali tematiche, attirandosi scomuniche e persecuzioni. L'intuizione originaria di Pacciardi - che riusciva a vedere al di là del tecnicismo costituzionale - ci sembra ancora valida. La soluzione presidenzialista proposta da Pacciardi, ispirata dalla conoscenza diretta del funzionamento della grande democrazia degli Stati Uniti, si basa sulla necessità di una volontà popolare, da riconoscersi anche ai vertici dello Stato. L'elezione diretta del Presidente della Repubblica è, quindi, una conseguenza del principio della prevalenza della sovranità popolare. Solo in un secondo momento acquistano rilievo le considerazioni di efficienza dell'esecutivo o di stabilità del Governo, per le quali, una volta accettato il principio della preminenza della sovranità popolare, possono prospettarsi soluzioni diverse: - in uno Stato molto esteso e complesso, che interviene in molteplici settori della vita sociale, solo un esecutivo forte e autorevole può sperare di far prevalere gli interessi del popolo su quelli della burocrazia e delle lobbies, che invece dominano facilmente le assemblee, che manipolano più agevolmente; - in uno Stato fortemente decentrato, o addirittura federale, un esecutivo forte e autorevole, designato dal popolo, può salvaguardare l'unità e correggere i particolarismi eccessivi; - in uno Stato che opera in un ambiente internazionale difficile e tormentato, in vista anche del conseguimento di una «più perfetta unione» europea, un esecutivo forte ed autorevole, designato dal popolo, può pilotare più sicuramente la Nazione e assicurare continuità all'azione diplomatica. Non sono, come si vede, tratti originali, ma affermazioni di principio e soluzioni pratiche, che hanno il pregio di essere immediatamente comprensibili alla gente comune. Il pregio principale della soluzione presidenzialista è quello di essere autenticamente popolare, anti-elitario, perché non riserva le delizie del gioco politico a una oligarchia di raffinati specialisti (come avveniva nella Repubblica di Venezia) o di prepotenti ignoranti (come è avvenuto nel modello comunista). Un regime di assemblea è sempre oligarchico, anzi, lo è in doppio grado: gli eletti del popolo come corpo separato rispetto al popolo, i pochi che contano veramente nel corpo dell'assemblea. Invece, proprio l'elezione diretta del capo dell'esecutivo, finisce per esaltare il peso della volontà popolare anche nei confronti delle assemblee elettive, il cui ruolo viene esaltato: i contrappesi fra i poteri non vengono garantiti da estratte norme giuridiche, ma dal popolo stesso, che vota in maniera differenziata per limitare i poteri del presidente (caso frequentissimo negli Stati Uniti, e che si è verificato una volta nella V Repubblica Francese). Così funziona la democrazia! L'obiezione riguardante possibili deviazioni dispotiche del regime presidenziale è particolarmente inconsistente. Anzi, sulla base dell'esperienza degli Usa, si dovrebbe temere il rischio opposto: spesso il popolo sceglie dei candidati inetti o corrotti, ma non ha mai scelto dei potenziali tiranni. È più facile, invece, che il dispotismo emerga in un regime di assemblea (la Convenzione della Francia Rivoluzionaria). E poi, purtroppo, i tiranni o aspiranti tali possono contare su argomenti molto più persuasivi: randelli, mitra o carri armati, e non tecniche elettorali o costituzionali. Quando si arriva al livello di degenerazione che ammette l'uso della violenza nella politica, non c'è soluzione costituzionale che tenga: Stalin era, formalmente, solo un modesto esecutore delle decisioni di una piramide di organi collegiali. Proprio per evitare i rischi degenerativi, bisogna affrettarsi sulla via delle riforme. Dal Dr. Cesare Cavalieri, Direttore di «Studi cattolici», riceviamo: (Milano, 26 luglio 1991) - Con ritardo mi giunge dall'Eco della stampa la segnalazione che sul numero di aprile-maggio de li Bianco & il Rosso (p. 18), Studi cattolici viene indicata come «rivista dell'Opus Dei». Come dovrebbe essere noto, Studi cattolici è edita dall' Ares, Associazione Ricerche e Studi, ente morale con personalità civile, indipendente da qualunque gruppo. Del resto, la prelatura dell'Opus Dei non possiede, e per statuto non può possedere, organo di stampa alcuno. Faccio questa precisazione senza entrare nel merito dell'articolo, peraltro largamente condivisibile. Con viva cordialità (Dott. Cesare Cavalieri) Prendiamo atto dellaprecisazione, ma non siamo convinti. Formalmente e burocraticamente Cavalieri ha ragione, certo, ma la rivista «Studi cattolici» esprime di fatto, in Italia, le posizioni, rispettabili, dell'Opus Dei. D'ora in poi scriveremo «vicina» all'Opus Dei», e anche la forma sarà salva. (G.G.)

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==