i.>ll, Bl.\'.\U) '-Xli. ROSSO iii•ii••M Il Volontariato rispetti tutti i valori culturali di Ettore Cannavera Dalprof EttoreCannavera,responsabileepresidentedellacooperativaKadossene,cherealizzainSardegna comunità alloggio per giovani «in difficoltà», e di cui ci occuperemo ampiamente con un servizio nel prossimonumero,abbiamoricevutoquestocontributosullasolidarietàe i suoirapporticonil volontariato. Ci appare molto congeniale allo spirito e allo stile di ReS. V ~lontariato: un modo diverso di far politica. Il volontariato, fenomeno di sempre, ha assunto nel tempo caratteristiche, forme, metodi e contenuti sempre diversi. Oggi, fenomeno, sempre più diffuso, par essere, in prevalenza, portatore di una cultura di solidarietà intesa come aiuto al1'altro, intervento riparatorio e «caritatevole» nei confronti di chi soffre all'interno del disagio sociale inteso come «patologia». Il volontariato che interviene nel sociale senza una strategia di liberazione senza farsi «soggetto politico», con la paura di «immischiarsi in politica», potrebbe, suo malgrado, offrire alibi ad amministratori incapaci od occupati a fare soltanto le «cose che contano ... e che rendono». Il volontariato deve rifiutare di fare ciò che la Costituzione affida allo Stato. Il suo non è un compito di supplenza a ciò che non funziona, ma una coscienza critica in difesa di ogni cittadino, specie del più debole. Non può essere il «tappabuchi» di uno stato inefficiente, perché ciò snaturerebbe il significato di fondo del volontariato: una «voce profetica», un occhio attento non solo nelle catastrofi, nelle stragi, nei terremoti, ma nell'«emergenza del quotidiano». La presenza pluriennale nel campo del recupero e della prevenzione della devianza minorile ci conferma che l'impegno nel sociale è impegno politico, seper politico non intendiamo solo le strutture organizzative o gli apparati di partito. La «politicità»della nostra esperienza sta proprio nella dimensione complessa della solidarietà che esprime. In una riflessione comune fatta lo scorso anno come «Coordinamento Nazionale delle comunità di Accoglienza» così ci esprimevamo: «... è nostra radicata convinzione che il disagio non è la parte "malata" della società, quanto l'espressione più debole e indifesa di una società "malata" nei suoi valori e nei suoi assetti. Non si può quindi rispondere al disagio soltanto con la messa in atto di servizi specialistici, ma occorre agire ben al di là della risposta immediata e concreta, con un'azione incisiva a largo raggio per modificare rapporti ed equilibri interpersonali, sociali, economici, politici del nostro paese». La risposta immediata al disagio fatica ad essere compagna di viaggio dell'assunzione di responsabilità verso il bene comune (la politica) per una dignitosa qualità di vita. Essere volontari oggi senza un'analisi sociopolitica del contesto che determina emarginazione e disservizi rischia di diventare funzionale allo «status quo». Chi si preoccupa di «fare accoglienza» nei propri gruppi, associazioni, comunità, pensando «al proprio orticello», alla propria isola «apparentemente» felice, senza allargare lo sguardo e l'impegno al mondo circostante, ai rapporti di sfruttamento internazionale {nord e sud del mondo), ai progetti di morte intercontinentali, senza il coniugare il «fareaccoglienza»con «fare politica» diventa a sua insaputa funzionale al «sistema» nel lenire le piaghe, le sofferenze e le frustrazioni, se non riesce a fare prendere coscienza alla gente delle causedel proprio malessere. Il volontariato nel disegnare la sua presenza nel territorio e i rapporti con le altre persone presenti {gruppi, servizi, istituzioni pubbliche ed ecclesiali, forze sociali in genere), deve necessariamente interrogarsi sulla «soggettivitàpolitica» che nveste. Questo allo scopo di evitare collocazioni ai margini della vita sociale, strumentalizzazioni facili, deleghe o supplenze da parte delle istituzioni e
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