i.)11, Bl.\:\<:O lXII, ROSS() iii•iil•P dale viene definito nei documenti presentati come una entità «muta», che non comunica, se non in modo irregolare, aleatorio, vago e impreciso, di fronte a un utente che, a sua volta, tende ad adattarsi alla nuova situazione, valorizzando e gestendo - si dice nel Rapporto - la poca informazione di cui dispone e facendo a meno di quella, a volte preziosa, di cui non dispone. Non si tratta solo di difficoltà di accesso per l'utente alle informazioni sul suo stato di salute, ma è la stessa comunicazione di informazioni sulla organizzazione della vita ospedaliera che lascia molto a desiderare, in particolare per quanto riguarda gli orari della pulizia, del colloquio fra medici e parenti (il 60,80/o dei ricoverati non ne è informato) dei pasti, delle visite mediche, di entrata dei visitatori. Il malato sembra però adattarsi a questa situazione, esprimendo un alto grado di soddisfazione per l'informazione ricevuta, circa la quale ha, evidentemente, scarse aspettative. I degenti, si dice sempre nei documenti di lavoro, sembrano mettere in atto, varcata la soglia dell'ospedale, una strategia volta a ridurre drasticamente le proprie esigenze informative, in qualche modo simile a quella adottata dalle specie animali che riducono la propria attività metabolica andando in letargo. Se la lettura di questi riflette una sostanziale incapacità del sistema ad assicurare risposte adeguate alla domanda di tutela dei diritti dei cittadini malati, il Rapporto mette in gioco altri elementi che sono estremamente incoraggianti. Una delle inchieste del Rapporto, infatti, analizzando cosa succede a un cittadino o a un operatore che reclamano e qual'è l'esito di queste proteste, si è posta l'obiettivo di verificare se esistono all'interno del servizio sanitario le condizioni che rendono concretamente possibile la tutela dei diritti. A questo riguardo viene registrata una intensa attività di tutela, potremmo dire «invisibile», che si svolge tra le pareti delle strutture sanitarie. Si tratta di un mondo in continuo movimento che coinvolge degenti e operatori. È considerevole il numero delle persone che diventano giorno per giorno attori della tutela dei diritti. Infatti un ricoverato su cinque e otto operatori su dieci segnalano gravi disfunzioni. Al riguardo l'indagine fornisce un elemento interpretativo di estremo interesse: i reclami, le proteste e anche le semplici segnalazioni di una qualche disfunzione vengono considerati come atti di tutela, atti cioè dotati di una precisa intenzionalità, orientati cioè alla difesa dei dirit- - - --- - - - -.- 37 ti dei cittadini e quindi ad ottenere un mutamento della situazione in cui si trova il soggetto e come tali riconosciuti dagli altri interlocutori (avversari o alleati che siano) presenti sulla scena. Esistono delle differenze circa il contenuto degli atti di tutela: i pazienti protestano prevalentemente per il vitto, l'igiene, la rumorosità delle corsie, l'impossibilità di telefonare e per le code e i lunghi tempi d'attesa per le analisi e le cure; il personale per la cattiva organizzazione e la carenza di apparecchiature e di risorse umane. È interessante rilevare che la quota dei cittadini - chiamati nei documenti di lavoro «soggetti attivi di tutela» - che protestano, sporgono reclami o richiedono cambiamenti immediati, apparentemente bassa se paragonata con quella degli operatori, risulta in effetti estremamente rilevante se si riferisce all'universo dei nove milioni di ricoverati l'anno. Si tratta in effetti di centinaia di migliaia di cittadini che ogni anno denunciano lievi disfunzioni o avanzano serie proteste. Segnalazioni e proteste che si concentrano in un lasso di tempo molto breve (una o più degenze, visite o sedute terapeutiche, ecc) di quello, corrispondente all'intera esperienza di lavoro nel servizio sanitario, in cui gli operatori possono aver avuto occasione di inoltrare un reclamo. Ma come sono fatte le persone che reclamano o protestano e che a tutti gli effetti possono essere considerate potenziali risorse per un possibile cambiamento? Se si volesse identificare un profilo ideale del degente attivo il Rapporto ci fornisce il seguente identikit: si tratta di un uomo o una donna di età compresa fra i trenta e i quarantanove anni, con un elevato livello di istruzione, ricoverato in un ospedale pubblico di medie dimensioni ubicato in una grande città. In sostanza viene smentita l'idea di un cittadino che è buono solo a lamentarsi. Dall'indagine emerge invece l'immagine di un cittadino che non si fa prendere per il naso, consapevole dei propri diritti, capace di distinguere fra le responsabilità delle amministrazioni o dei vari soggetti professionali, interessato - è questo uno dei dati forniti dall'indagine - a ottenere subito il ripristino dei diritti violati più che a individuare e a far punire i responsabili delle omissioni e dei disservizi. Ma che cosa è nel dettaglio questo Rapporto nazionale sullo stato dei diritti nel servizio sanitario nazionale? Il Rapporto, in sintesi, è uno strumento di verifica del livello di qualità delle
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