Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 20 - settembre 1991

~.li-Rl.\\0) ~11. nos..",O iii•iii•d 3. Conclusioni provvisorie, e sommesse Si può concludere che è possibile, evidentemente, liberare Curcio, ed eventualmente anche altri che siano nelle sue medesime condizioni, ma senza «cambiare le carte in tavola», cioè senza dare al terrorismo una lettura che lo giustifichi, che lo nobiliti politicamente: occorre, se è il caso, un condono, una grazia, senza chiasso strumentale, senza significati politici che dicano oggi ciò che non fu detto ieri neppure per salvare la vita di Aldo Moro. E senza esami di idoneità spirituale, che portano fuori dalla strada percorribile con giustizia, e diventano estremamente soggettivi. Curcio libero, dunque, se si vuole, e basta. Ma non si dica, per favore, che lo si deve fare perché lo si è già fatto per altri, e cioè per i cosiddetti «pentiti». Il parallelo è inesatto, e fuorviante. È infatti opportuno ricordare che le leggi sui pentiti furono un prezzo, discusso e discutibile, che fu creduto opportuno o necessario pagare non per «voltare pagina», ma per poter finalmente leggere cosa c'era scritto, veramente, in quella pagina sanguinosa e ancora non letta del terrorismo. Qualcosa, di quella pagina, si è letto, anche se non tutto. Ora accadrebbe il contrario. Con un provvedimento politico del genere di quello prospettato in questi giorni si pagherebbe un prezzo alto, certo, ma con l'intenzione opposta a quella dei provvedimenti sui pentiti, e cioè per non dover più leggere quelle pagine ancora ignote, per voltare pagina senza averla neppure potuta decifrare, e quasi per impedire che chiunque possa leggerla. Contratti. Un po' di ottimismo: condizionato di Raffaele Morese A nche la trattativa per la politica dei redditi è andata in ferie. Con solennità, a Palazzo Chigi, si sono riunite le rappresentanze delle parti sociali per ascoltare e condividere un prudente giudizio sul lavoro fatto, espresso a nome del Governo dall'on. Martelli e per promettere più impegno dopo le vacanze. Non sono fra quanti pensavano che in un mese si potesse confezionare un buon risultato, ma mi preoccupa una coincidenza non tanto fortuita. Il solenne arrivederci che si è dato la società civile - almeno nella sua espressione socioeconomica più rappresentativa lì concentrata - arrivava dopo un altro improduttivo dibattito che la società politica aveva appena concluso sulle riforme istituzionali. Tanto su queste ultime, quanto sul governo dell'economia, le forze reali di questo Paese appaiono incapaci di produrre innovazione, cambiamento pur invocandoli e dichiarandone l'inevitabilità. Questo parallelismo a qualcuno può risultare un po' forzante. Ma a me sembra che non si spiega la prima impasse senza l'altra e viceversa. Non c'è un circuito virtuoso che metta in moto una qualche ipotesi di riforma delle istituzioni, senza una pressione al cambiamento che provenga dalla società civile, come non si produce cambiamento nelle regole del gioco economico, senza che il sistema dei partiti non solo riformi sé stesso, ma assuma una qualche iniziativa in quella direzione. Ormai è chiaro che passarsi il cerino delle responsabilità non serve più; è talmente ridotto che tutti se le stanno bruciando. E di fronte al pericolo di ustionarsi, come al

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