,P_IJ. UIANO) 0.11.nosso lii•lil•l1 pre moralmente obbligatorio, e l'odio e la vendetta non sono mai ammessi. Se il perdono fosse uguale al condono la cosa comporterebbe, almeno dove l'ideale cristiano fosse preso come valido anche per l'organizzazione della vita collettiva, la fine del diritto penale, e dell'esecuzione di ogni sentenza. E invece non è così: la stessa Chiesa cattolica ha un suo diritto penale, ed ha chiarissima la distinzione tra perdono e condono, il primo sempre valido nelle relazioni interpersonali e il secondo da decidere, eventualmente, sul piano penale della esecuzione delle sentenze legittime. Sulla base di questa distinzionepuò comprendersi l'equivoco di certo «perdonismo giudiziario», anche di parte cattolica, confuso e spesso chiaramente strumentale, anche se in buona fede, che applicato alla vicenda insiste nel descrivere Renato Curcio come cambiato, come redento, come «purificato» dal suo passato. Si dice, e si scrive, che egli «è un 'altra persona». Fosse anche vero, - ma come vedremo le dichiarazioni e gli scritti recenti dello stesso Curcio fanno venire parecchi dubbi in proposito-, ci si dovrebbe chiedere perché mai questi discorsi, morali e psicologici dovrebbero valere per «il dottor Curcio», famoso, seguito, e in taluni casi addirittura ammirato, e non valgano invece per le decine di migliaia di detenuti normali, sconosciuti, e molte volte meno colpevoli penalmente di Curcio. Di essi, piccoli delinquenti o anche grandi, ma non sotto i riflettori dei media, non si occupa nessuno, e la loro eventuale redenzione morale e psicologica non arriva a commuovere nessuno. O dovremmo per ciascuno di essi ascoltare sempre e obbligatoriamente i cappellani, gli assistenti, i volontari cattolici o laici, e far decidere ad essi la sorte giudiziaria di tutti? Se Curdo è davvero cambiato si tratta di una buona notizia sul piano morale e spirituale, ma questo non può direttamente avere conseguenze immediate sul piano giuridico, a meno di non stravolgere tutto l'impianto della giustizia umana, al cui centro non sono certo le intenzioni, buone o cattive, ma i fatti confrontati con le leggi vigenti, e non altro. 2. Sì alla grazia, se possibile. No al vo/tapagina all'italiana Ma una volta sgomberato il terreno dalla confusione tra condono e perdono, resta il fatto che il problema è davvero intricato. Dico subito di non essere contrario ad un atto che riduca la pena a Curdo e che lo restituì32 sca alla libertà, per esempio ad una forma di condono che tuttavia riguardi solo ed esclusivamente lui, come atto gratuito, la grazia appunto, che si esaurisce in se stessa, o anche alla applicazione, se come molti sostengono è possibile, della cosiddetta «continuazione di reato», che consenta il punire solo il reato più grave, senza sommare le pene, e di avere di conseguenza l'immediata scarcerazione per il fatto che Curcio ha già scontato la pena inflittagli. È tuttavia anche messo così, il discorso giuridico relativo a Renato Curcio non appare privo di problemi. Si può concedere la grazia a chi non la chiede, e non la vuole, e dichiara che come tale non la accetterà? E ancora: è possibile un condono, una grazia, un indulto, nei confronti di chi ha ancora dei procedimenti giudiziari aperti, e le cui condanne siano ancora oggetto di appelli? Può anche darsi che si trovi soluzione a questi che pur sono problemi reali. E tuttavia non credo che siamo ancora nel cuore della questione. Il vero e grande problema, credo, di tutto questo gran parlare e scrivere su Curcio va ben al di là di Curcio e della sua vicenda giudiziaria, e diventa letteralmente un problema politico, nel senso forte del termine. È su questo aspetto del problema che occorre ora riflettere. Pare infatti essenziale a molti, anche di diverso parere circa il destino giudiziario di Renato Curcio, il fatto che, comunque sia impostata giuridicamente, la cosa non acquisti significati che snaturano il problema, fanno assumere alla sua soluzione una valenza «politica» in senso stretto, e per sanare una ingiustizia, e cioè la diversità di trattamento di Curdo rispetto a quello di molti «pentiti», responsabili diretti di reati di sangue, dia al gesto un significato simbolico, valido per tutta un'epoca, come un velo di silenzio, di pietà malintesa, di dimenticanza su tutto un periodo della storia italiana, quello del terrorismo, che invece è ancora tragicamente aperto, e in parecchi sensi. Quando si dice autorevolmente, per giustificare un atto di clemenza nei confronti di Curdo, che occorre fare qualcosa «per voltare pagina, rispetto al fenomeno del terrorismo di sinistra e di destra», viene spontanea una piccola annotazione, che tuttavia diventa pesantissima: qualsiasi pagina di qualsiasi libro importante si può voltare, certo, ma solo dopo averla letta, e con attenzione proporzionata all'importanza del libro stesso. Ora a me pare, e con riscontri del tutto obiet-
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