iii•iii•U Dopo Bari: qualcosa deve muoversi di Gianni Baget Bozzo I l congresso di Bari è stato una riconvocazione del precedente congresso. E si pensava che esso si svolgesse, come il precedente, con l'apertura di una crisi di governo. Ma mancava il presupposto di essa: cioè il consenso di una maggioranza della Dc. Il congresso dell' Ansaldo a Milano fu il congresso del camper e del Caf e, d'altro lato, l'alleanza del Psi con Andreotti e Forlani indicava di dichiarare che un governo, quello di De Mita, era giunto al capolinea: questa volta si trattava di una legislatura. E soprattutto la vicinanza del Quirinale aveva, come tutte le altre volte, ma questa volta di più, agitato le correnti democristiane: chi deve andare al Quirinale e a Piazza del Gesù? Inoltre vi erano stati alcuni fatti rilevanti: lo spettro delle Leghe che incombe sulla Dc del Nord e il successo di due outsiders democristiani fuori o a lato della Dc: Segni nel referendum della preferenza unica, Orlando alle regionali siciliane. Né Segni, né Orlando, né le Leghe sono in realtà un buon segno per la Dc, che non aveva sostenuto né Segni, né ovviamente Orlando o le Leghe. Questo indica che l'elettorato più stabile d'Europa, quello italiano, ha cominciato a muoversi. E si muove sotto la spinta di due fattori: la crisi dell'elettorato di appartenenza e la comparsa dell'elettorato di protesta. La fine del comunismo all'Est e la nascita del Pds mette in stato di dissoluzione lo zoccolo duro dell'elettorato di appartenenza, quello comunista: quella dell'elettorato cattolico segue a ruota. Rete e Leghe, la stessa incertezza della Dc nel voto sulla preferenza unica, che danneggia il suo gruppo dirigente, indica la realtà del fenomeno e forse anche la sua percezione da parte del partito: ciò ha messo un freno alla lotta per il Quirinale e per l'organigramma democristiano. E quindi ha reso impossibile il concorso democristiano al desiderio socialista di elezioni anticipate. Il congresso ha vissuto l'incertezza della sua poslZlone: un congresso riconvocato straordinariamente per non sentirsi proporre nessun atto straordinario. Ciò ha dato luogo al sentimento comune di un Craxi finalmente in imbarazzo. Il percepire il trionfo della stampa e dei media che vivono di riflesso dell'avventura socialista ha accentuato nel congresso questo sentimento. Ma esso è rimasto in linea con il suo leader, sia per quel che riguarda la continuità dei rapporti di governo con la Dc, sia per lo stato freddo dei rapporti con il Pds. Forse il fatto più significativo è stato il silenzio del leader più libero e più critico del partito, Giacomo Mancini: ha espresso il suo sostegno a Craxi il giorno dopo il congresso con una intervista su Repubblica. Due interventi hanno dato qualche apparenza di essere intervento di differenziazione: quello di Signorile e quello di Martelli. Ma in realtà lo spazio della diversità era modesto. Signorile, che mantiene il ricordo della sinistra lombardiana, sa bene da tempo che non è possibile dividere il Psi in filodemocristiani e filopostcomunisti: non fu possibile a Lombardi negli anni '70, non è certo possibile a Signorile negli anni '90. E il leader socialista vi ha da sempre giustamente rinunciato. La sua richiesta di apertura di crisi era domandare a Craxi di fare quello che egli avrebbe voluto se Forlani e Gava gli avessero dato il via libera. Martelli ha tenuto un discorso con allusioni critiche. Il vicepresidente del Consiglio che da vicesegretario aveva nell'84 tentato la riforma del tesseramento, ha svolto una analisi fortemente critica sullo stato dei partiti: ma ciò ora, per la verità, è divenuto letteratura comune. Si è differenziato da Amato dichiarando di preferire il sistema presidenziale a quello semipresidenziale: ma è una distinzione astratta, perché il vero fatto politico del congresso di Bari è stato la messa in margine del presidenzialismo socialista. Non è possibile pensare a una coalizione di governo con la Dc essendo dei presidenzialisti militan-
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