il 11• 0Alili alla sua scadenza naturale. Che poi questo possa servire, o meno, a risolvere anche uno solo dei tanti problemi in sofferenza non sembra avere un peso decisivo nella loro valutazione. Il fatto è che si è progressivamente smarrita la nozione che la «governabilità» non è un regalo che i partiti della maggioranza possono pensare di farsi tra loro, chiedendosi in cambio qualcosa. Dovrebbe essere né più né meno che l'esercizio di un dovere. Un rischio per ciascuno di essi e per tutti insieme. Dovrebbe essere, innanzi tutto, un recupero visibile di credibilità capace di rafforzare (se non addirittura di ricostruire) un legame tra cittadini ed istituzioni. Senza di che, governare, cioè chiedere che ciascuno faccia e patisca qualcosa, può risultare impossibile. Ma le cose non pare proprio che stiano così. Da quel che si è capito, la legislatura dovrebbe arrivare alla sua scadenza canonica più per rassegnazione che per vitalità. Nulla induce, infatti, a pensare che i mesi che ci separano dalle elezioni possano servire ad abbandonare le baroccaggini, che da tempo imperversano, attorno alla conquista del Santo Graal della riforma istituzionale. Ancora meno una campagna elettorale (praticamente di un anno) può servire a risanare la sempre più difficile situazione economica. Oltre tutto, l'aumento del costo del denaro, deciso a metà agosto dalla Banca Centrale tedesca e seguito dalle autorità monetarie di molti paesi europei, complica ulteriormente i problemi dell'Italia. Perché è l'esatto contrario di ciò che al nostro paese sarebbe stato utile per tonificare l'attività produttiva e per migliorare i gravissimi problemi della finanza pubblica. Dalla metà degli anni 80 l'industria italiana si era alquanto affrancata dal problema del costo del danaro avendo ormai raggiunto un buon livello di autofinanziamento e quindi minor bisogno di ricorrere all'indebitamento. Negli ultimi due anni però la situazione è radicalmente cambiata. Con i prezzi irrigiditi da un cambio sostanzialmente fisso, l'aumento dei costi (prodotto da un'inflazione doppia rispetto ai principali paesi europei) ha eroso i margini di profitto costringendo nuovamente le imprese ad indebitarsi. La soluzione del problema non può certo venire dalla trattativa sulla cosiddetta «riforma della struttura del salario» alla quale ciascuna delle tre parti ha soprattutto delle cose da chiedere. Sarà perciò da considerare già un miracolo se questo negoziato non peggiorerà le cose. In particolare per quanto riguarda la finanza pubblica. Si aggiunga che la politica economica del governo, per il 1991, è stata un fallimento. La crescita, quest'anno, sarà inferiore all' 1 per cento, mentre il governo aveva promesso il 2, 7. L'inflazione sarà più vicina al 7 che al 5 per cento. La produzione industriale, fino a luglio, era scesa di quasi il 3 per cento. È facile immaginare che a partire dal prossimo anno gli effetti di questo rallentamento si faranno sentire anche sul piano dell'occupazione. In queste condizioni non è arbitrario pensare che il documento di programmazione economica e finanziaria per il prossimo triennio, presentato dal governo nel maggio scorso, ha la stessa attendibilità della «Smorfia» per i numeri da giocare al lotto. « Tirandoa campare» il meno che può succedere è che la situazione economica diventi ingovernabile. Si deve inoltre aver chiaro che misure credibili di risanamento economicofinanziario sono fuori dalla portata di questo governo. Anzi, per dirla fino in fondo, fuori dalla portata di questa maggioranza. La severità delle decisioni che, ormai, si devono assumere ha infatti bisogno di una maggioranza molto più ampia di quella attuale. Poiché una cosa del genere è inimmaginabile in una fase preelettorale, bisogna dire che la decisione di votare il prossimo maggio (cioè alla scadenza naturale) non ha fatto guadagnare 10mesi alla legislatura, li ha fatti perdere alla politica di risanamento. Oltre tutto i problemi economici non sono come il vino, che invecchiando migliora. Bisogna inoltre tener presente che c'è una crescente frammentazione corporativa che acuisce la disgregazione, che rende precario il senso di una sorte condivisa. E c'è anche la debolezza dei partiti che per essere diventati esosi acquirenti di consenso, acquisito a qualsiasi prezzo, ottengono in cambio ingovernabilità e disamore. Per cambiare il corso delle cose servono a poco i tatticismi, o anche le inconcludenti pedagogie politiche con le quali ciascuno spiega agli altri ciò che dovrebbero fare. Serve un impegno solidale dei maggiori partiti per prendere le decisioni indispensabili al risanamento economico-finanziario del paese ed aprire poi la strada all'alternanza ed a una fisiologica dialettica democratica, maggioranza-opposizione. Sono cose che non sarà facile realizzare neanche dopo le elezioni. Quel che è certo, è che sono impossibili prima.
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