iii•iil•U che membro del clero più incline a considerarsi grande elettore, che povero pastore. Ma sono anche convinto che si tratta di situazioni più penose che rilevanti. Ed in ogni caso non spostano di una virgola la storia politica del Paese. Resto anche convinto che non si risolvono situazioni incongrue dicendo alla Chiesa di badare ai fatti propri. Cioè con una ricetta che, prima ancora che irriguardosa, è inutilmente perentoria. Perché anche chi non crede non dovrebbe avere ragioni di apprensione verso la fede la quale lascia libertà ai credenti di fare le loro scelte politiche. Senza che questo, naturalmente, significhi indifferenza o estraneità verso scelte che la contraddicono. D'altro canto non credo proprio sia desiderabile una riduzione della fede a fatto intrinseco, a intenzione, a semplice ispirazione, a motivazione che si aggiunge ad una visione della realtà che si dovrebbe perciò costruire secondo criteri assolutamente estranei a quelli della fede. Perché si tratterebbe di una concezione del rapporto fede politica del tutto inaccettabile. Penso non solo per i credenti ma anche per chi, pur estraneo alla fede, capisce che la conseguenza di una simile concezione non potrebbe che essere un serio impoverimento etico dell'intera società. Ho insistito su questo aspetto perché lo ritengo importante in sé, ma anche perché lo considero un punto nodale per le sorti della sinistra riformista in Italia. So bene che ci sono parrocchie che hanno fatto e fanno propaganda per candidati Dc. E ahimé non sempre per i meno discussi moralmente. Ho sotto gli occhi la situazione romana e provo anch'io (soprattutto come cattolico) qualche sentimento di sconforto di fronte al sostegno accordato a certi personaggi. Ma sono convinto che assai più diffuso e sicuramente più significativo sia l'impegno verso gli ultimi. Sono, tutto sommato, di più le parrocchie che, soprattutto in certe periferie delle grandi città, costituiscono il solo punto di riferimento per gente diversamente abbandonata da tutti. Sicuramente dallo Stato. Se ci sono discutibili tralignamenti anche di vescovi e parroci verso la cucina della politica e verso il potere, sono di gran lunga maggiori le benemerenze dei sacerdoti e delle parrocchie verso la povera gente. Troppo spesso fuori dalle mode politiche, ma non per questo esente da bisogni. Se così stanno le cose la questione vera allora, a me sembra, è di capire perché, malgrado l'assenza di preclusioni di principio e di fatto, in Italia la proposta riformista stenta a farsi -----~ 111 17 strada. Ha una credibilità limitata, un consenso insufficiente. Specialmente nel mondo cattolico. La prima domanda che perciò i riformisti dovrebbero porsi è come accrescere (cominciando magari con il rendere meno difficile) la capacità di attrazione del riformismo socialista sul mondo cattolico. Almeno sulla parte non integrista. Quella che non pensa di imporre la propria fede a chichessia, ma che però la vorrebbe rispettata. Questo rispetto presuppone una chiara nozione del limite della politica. Che significa consapevolezza di un «fine umano» che non si esaurisce tutto nella storia. E quindi nemmeno nella politica. In concreto, per fare un solo esempio, questo significa che l'aborto può essere considerato un grave e doloroso problema sociale da regolare (come si è fatto, appunto, con la 194) e non una «libertà» da affermare, un «diritto civile» da conquistare. Tanto meno l'aborto può essere considerato una pratica anticoncezionale, come pensano i sostenitori della pillola abortiva. La proposta riformista può inoltre diventare più persuasiva e quindi più credibile nel mondo cattolico ed in particolare nella sua componente progressista e riformista se saprà assicurare, non solo più ricambio, ma soprattutto più moralità nella vita politica. So bene che il problema cruciale della moralizzazione non è una esigenza specifica del socialismo riformista e che nessun altra forza politica dovrebbe illudersi di potersi salvare con una invettiva. Certo tutti sono in gioco. Tuttavia credo che per il riformismo la posta sia più alta. Come è giusto, a chi propone un cambiamento non è risparmiata la domanda: «In che vi distinguete? Dove si colloca il vostro onore?» Ed è una domanda che non può restare senza risposta da parte dei riformisti. E, soprattutto, senza effetti sui loro comportamenti. Mi rendo conto che queste ultime considerazioni potrebbero anche apparire evasive a chi ritenesse che la politica esiga non solo realismo, ma calcolo e spregiudicatezza. lo resto però persuaso che senza una ostinazione di verità che leghi insieme ed ispiri le scelte di fondo ed i comportamenti quotidiani, non c'è la speranza di un approdo. Speranza che, comunque, non si alimenta continuando a impegnarsi su antichi campi di battaglia, contro nemici evanescenti, quando le vere questioni stanno altrove. Con affetto. Pierre
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