Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 20 - settembre 1991

iii•lil•II La fede non è un «ghetto» di Pierre Camiti Roma, 30 luglio 1991 Caro Claudio, il dibattito sul rapporto tra Chiesa e politica in Italia, che è seguito alle tue affermazioni congressuali ed alla lettera che mi hai inviato subito dopo, mi spinge a qualche ulteriore precisazione. Innanzi tutto credo si debba prendere atto con compiacimento che l'iniziale propensione di alcuni, a sostituire l'oggetto della discussione con l'invettiva e l'insulto, ha lasciato complessivamente il campo al ragionamento ed alla riflessione. Secondo me, tuttavia, la deplorevole intolleranza che c'è stata in alcune repliche, più che come la conferma di un insorgente temporalismo, va semmai interpretata come limite culturale, oltre che di buona educazione. Limite che investe quindi i requisiti personali, piuttosto che l'appartenenza a questo o a quel campo. Capisco perciò la tua contrarietà alle non certo meditate dichiarazioni di Sergio Mattarella o di Giovanni Bianchi ma credo, converrai con me, che c'è di che restare esterrefatti quando si ascolta l'accusa di «seminatore di zizzania che vuole il maggior numero di donne morte» lanciata da Elena Marinucci contro Papa Giovanni Paolo Il. Le stesse reprimende che ti sono state rivolte dal cosiddetto campo laico per essere stato tu tra i primi a sviluppare una attenzione ed un rispetto, anche con le posizioni cattoliche culturalmente più lontane dalle tue, o per esserti impegnato a circoscrivere la polemica sull'insegnamento della religione, sulla scuola privata e sull'aborto, confermano che l'anticlericalismo e l'incredulità hanno i loro bigotti. Proprio come l'ortodossia, caro Claudio. Ma venendo al pericolo di un nuovo temporalismo (vale a dire una ingerenza papale nel potere politico) che tu pensi di intravedere, consentimi qualche ulteriore considerazione rispetto a quelle che ho già avuto modo di esporti. Da almeno un ventennio ed in modo sempre più esplicito la dottrina sociale della Chiesa rifug- ■ 15 ge da modelli ideologici prefabbricati e rinuncia a voler proporre «una parola unica» ed una soluzione di valore universale, per i progetti storici dell'uomo. Non è questa, scriveva Paolo VI «la nostra ambizione e neppure la nostra missione». L'intervento dei credenti nel socialenon può quindi essere dedotto dalla fede. Esso dovrà piuttosto muoversi dall'analisi obiettiva della situazione ricorrendo alle parole immutabili del Vangelo come a principi di chiarificazione. Attingendo criteri di riflessione, di giudizio e di azione dall'insegnamento della Chiesa. Tale insegnamento nel suo dinamismo «accompagna gli uomini nella loro ricerca». Di nuovo è il Vangelo - come fonte di rinnovamento ed accolto nella sua integrità - che spinge a maturare una riflessione «condotta a contatto con le soluzioni mutevoli di questo mondo». Sul piano pratico le cose non cambiano. Dal 1978 la Chiesa ha un Papa polacco e quindi, non foss'altro che per questa ragione, più «interessato» alle vicende mondiali che al cortile della politica italiana. Nell'orizzonte di questo pontificato l'Italia si è rimpicciolita. Ci si può naturalmente chiedere se i successielettorali della Democrazia Cristiana, soprattutto nelle aree meridionali vengano ancora ottenuti grazie alla Chiesa. Probabilmente non ovunque, ma credo che la Dc i voti li ottenga, se non a dispetto, perlomeno senza il sostegno della Chiesa. Le cronache ci dicono, del resto, che c'è una parte del clero meridionale che si batte coraggiosamente, non solo contro la criminalità organizzata, ma anche contro le clientele. Voglio osservare, inoltre, che se anche la Chiesa attraversa una fase di importante dinamismo sociale esso non si traduce, ammesso che lo ricerchi, in capacità di orientamento elettorale. Del resto, credo si possa dire che nel Nord una quota importante di voto, anche cattolico, sia andata alle Leghe «malgrado» la Chiesa. D'altro canto gli orientamenti pastorali della gerarchia ecclesiastica si rivolgono ad una società sempre più secolarizzata e ad un clero sempre

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