~li- HIAM:O lXn.nos..~ iii•iil•Q I credenti non sono un partito di Pierre Camiti L e contrastate valutazioni espresse dal1'onorevole Martelli sulle posizioni della Chiesa e del Papa hanno avuto, tra l'altro, il merito di sollevare la questione irrisolta del rapporto tra fede e politica, cioè del ruolo dei credenti nella storia. Tema appassionante non solo per i credenti, ma anche per chi, pur estraneo alla fede, non può disconoscere, il ruolo importante della presenza dei credenti nella vita pubblica. La discussione, meglio sarebbe dire la confusione, che è seguita alle dichiarazioni di Martelli dimostra, per altro, che gran parte della cosiddetta cultura politica italiana ha, in proposito, idee tutt'altro che chiare. Ciò che stupisce infatti è che molti siano tornati a parlare (con una confusione non solo terminologica) di «rapporti» tra socialisti e cattolici. Come se i cattolici fossero un partito tra gli altri. L' aggettivo cattolico esprime, invece, una categoria religiosa impropriamente applicata alla politica. Di quanto fanno in politica i cattolici sono responsabili loro stessi non avendo alcuna funzione di rappresentanza della Chiesa. Si può quindi parlare di rapporti tra i diversi partiti e la Chiesa, o tra credenti e non credenti nei diversi partiti, mentre parlare di rapporti tra cattolici e socialisti o anche tra cattolici e democristiani è una cosa, oltre che praticamente priva di senso, teologicamente inconcepibile. Negli ultimi 30 anni, del resto, lo stesso magistero della Chiesa ha messo ripetutamente in evidenza come la dottrina sociale cristiana non offra garanzie e salvacondotti ad una data struttura politico-sociale e, tanto meno, a questo o quel partito. L'insegnamento sociale cristiano non interviene per proporre un modello prefabbricato, ma fa appello all'immaginazione sociale, a uno sforzo di creazione ed innovazione ardita che sia sempre più in grado di migliorare la condizione umana. La conseguenza è stata (e non poteva non essere) la legittima varietà di opzioni in campo politico. Abbandonato l'errore storico di ridursi a partito tra i partiti, con la tentazione di restaurare un nuovo temporalismo (vale a dire una ingerenza papale nel potere politico) la comunità cristiana è stata positivamente indotta a ritrovare la capacità originaria di fare appello alle coscienze per individuare soluzioni più giuste. Perché più umane. Oltre tutto avere chiaro. il rapporto tra fede e politica per il credente non può significare edificazione di una società cristiana che si imponga a tutti, in forza della legge, a partire dalle premesse della fede. Sono del resto queste medesime premesse (più dello stesso pluralismo in cui viviamo) che non lo consentono. Sono quindi anacronistici ed inaccettabili tutti gli integrismi. Di qualsiasi colore. Così come, al contrario, sono inaccettabili gli atteggiamenti riduttivi che tengono a confinare la fede nel recinto del culto domenicale, dopolavoristico, o nell'angustia della coscienza individuale. Se da un lato, quindi, la fede lascia libertà ai credenti di fare le loro scelte politiche, perché riconosce il valore provvisorio dei progetti storici dell'uomo, dall'altro esige il diritto di poter contestare tali progetti, tanto nel loro limite, che nelle loro indebite assolutizzazioni. A sua volta la politica che ha per scopo il miglioramento della condizione umana non può ignorare il proprio limite. Che c'è cioè anche un «fine umano» il quale non si esaurisce e non si consuma tutto nella storia. A trent'anni dal Concilio si dovrebbe poter ben dire che non esiste un problema di rapporti tra cattolici e socialisti, ma che resta invece aperto, il problema del rapporto tra fede e politica. Che riguarda i rapporti tra credenti e non credenti nel partito socialista. Come in tutti gli altri partiti. (li Giorno, 8 luglio 1991)
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