Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 20 - settembre 1991

B i.)JJ, RIA~ :O l.XH.HOSSO iil•iil•ii <<Tenefrermo il confine fra politicae religione» di Claudio Martelli Roma, 2 luglio 1991 Caro Pierre, vorrei rispondere alle osservazioni che hai rivolto alle mie affermazioni congressuali sul nuovo temporalismo della Chiesa e del Papa. Rispondo a te per la misura. che hai mostrato nella critica. Non replico viceversa a chi da un lato toglie di mezzo l'oggetto della disputa - il nuovo temporalismo della Chiesa e del Papa -, dall'altro lancia insulti scomposti tipo «basso, povero, meschino, infame, rozzo, incivile, laicista mangia preti, ignorante, provinciale, ecc. ecc.». Evidentemente in Italia nel 1991 non si può criticare l'eccessivo interventismo politico del Papa e della Chiesa senza divenire automaticamente dei reprobi. Con ciò coloro che mi dovevano smentire cominciano con il dare più argomenti alle mie tesi. So bene che l'ispirazione del Papa e il suo sguardo non è ristretto ai confini italiani ma è planetario. Ma non posso non osservare anche i suoi atti qui in Italia e quali effetti politici, civili, sociali, culturali ne scaturiscono e come si comportano coloro che se ne dichiarano ispirati. Non è certo l'immortale cristianesimo il bersaglio della mia critica. Non la Chiesa, la sua presenza, il suo impegno straordinario sul fronte del dolore, delle povertà, della solidarietà. E nemmeno la Chiesa interlocutore etico sul piano delle scelte tragiche, delle scelte di confine tra la vita e la morte. Il mio bersaglio è solo il temporalismo e l'intolleranza che trasuda da alcune repliche ne è la riprova più evidente. Apprezzo la Centesimus Annus. Mi ero tuttavia permesso di osservare che più che per le novità di teoria sociale sembra raccomandarsi come messaggio politico. Vedo invece che il vice segretario della Dc replicandomi, brandisce la Centesimus Annus come arma politica e come proprietà della Dc. L'On.le Mattarella sembra seguire lo ·stesso metodo degli integralisti islamici. Anche loro brandiscono un libro sacro e si presentano agli elettori ingiungendo «Credi e vota». Nei più evoluti stati arabi l'uso della religione per fini politici è vietato. Ci costringeranno a pensarci anche in Italia? Una premessa: credo di essere stato tra i primi e più convinti a riconoscere all'inizio degli anni '80 di fronte all'esperienza di Solidarnosc il merito storico di Wojtyla di aver aperto un varco decisivo nel muro delle società dell'Est, sfidando dal basso e dalla parte dei lavoratori, il regime comunista. Tra i primi e più convinti nell'osservare con simpatia partecipe un pontefice pastoralmente impegnato nella predicazione dei diritti umani, dei diritti dei popoli a partire dalle libertà religiose, civili e sindacali. Tra i primi e più convinti a tentare da posizioni di integrale liberalismo un dialogo anche con le posizioni cattoliche culturalmente più lontane o integraliste ed anche sui temi in cui più arduo è il dialogo, cercando di circoscrivere la polemica sull'insegnamento della religione nelle scuole pubbliche, di non inasprire quella sulle scuole private, di illuminare di valori la riaffiorante disputa sull'aborto, riducendola all'ipotesi estrema di un conflitto tra il diritto «divino» alla vita e il diritto umano e soggettivo delle donne ad accogliere una nuova vita. Ancor più recentemente ho potuto sperimentare la forte solidarietà della Chiesa per il varo e per l'applicazione della legge sull'immigrazione. Tutto questo mi è costato non poche reprimende dal campo laico e in qualche caso dalle stesse file del mio partito. Politicamente - e penso me ne potrai dare atto anche personalmente - ho cercato e valorizzato non solo tutti gli elementi di convergenza tra riformismo socialista e riformismo cattolico, ma praticato la più ampia apertura del Psi agli uomini, alle idee del riformismo cat-

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