~-lLlllAì\CO \Xll,HOSSO PNdUMIIMitllt411 Mi prendere atto che in questa legislatura non ci sarà alcuna riforma istituzionale. E se non ci fossero le indispensabili convergenze politiche o non si trovasse l'accordo per far esprimere, in qualche modo, gli elettori su questo tema nemmeno dalla prossima legislatura ci si possono aspettare novità. 3. Non stupisce che in una simile situazione ci siano forze politiche (assecondate, bisogna dire, da importanti settori della stampa e dell'opinione pubblica) che in mancanza delle condizioni, come della volontà e del coraggio, di fare ciò che sarebbe necessario pensano che basti fare «qualcosaltro» per salvarsi l'anima e garantirsi una sopravvivenza. Si fa così strada l'idea di escogitare qualche invenzione elettorale, certamente più a portata di mano (perché non ha bisogno di una maggioranza qualificata) ma, bisogna dire, che è anche la più elusiva e, nei fatti, alternativa alle riforme istituzionali. In ogni caso, anche nella migliore delle ipotesi, quando cioè non fosse pensata in chiave alternativa alle riforme istituzionali, è al massimo una cura sintomatica. Non un rimedio alla malattia. Del resto lo stesso referendum sulle preferenze, malgrado fosse caricato di molte attese miracolistiche, di molti significati simbolici, era ed è stato solo un placebo. Una cura palliativa anzichè, come pure era stato detto, un primo. passo verso le riforme istituzionali. E malgrado una larga maggioranza abbia condiviso l'opinione dei promotori e di molta stampa che i futuri candidati sarebbero stati purificati se gli elettori avessero perso tre preferenze di troppo, noi continuiamo a dubitare che la vittoria del «sì» rappresenti un passo avanti anche solo sul piano della moralità dei comportamenti elettorali. In ogni caso chi vivrà vedrà. Resta comunque il fatto che la larghissima maggioranza degli elettori (nettamente superiore a quel che noi prevedevamo) si è pronunciata per il «sì» manifestando una indiscutibile voglia di cambiamento. Persino indipendente dalla efficacia pratica del cambiamento richiesto. Tra i fautori dell'abolizione della preferenza plurima c'è stato un buon numero di parroci che ha dichiarato di votare «sì». C'è da supporre che da parte loro la preferenza sia stata assimilata al peccato. Una è, evidentemente, un peccato veniale, quattro sono un peccato mortale. Chissà se questa posizione : 69 deve essere letta come un pentimento per le troppe preferenze date e fatte dare in passato? Sia chiaro non c'è in queste considerazioni nessun rimpianto verso il sistema delle pref erenze plurime, ma soltanto la constatazione che, rispetto al quesito referendario, i veri problemi stavano e stanno altrove. Anche se il contenuto del referendum nulla aveva a che vedere con le riforme istituzionali ci si deve comunque chiedere se dopo la sua effettuazione possa cambiare qualcosa. Ed eventualmente che cosa, nei rapporti tra i partiti ed in generale nelle prospettive politiche. Secondo noi un primo problema riguarda la maggioranza. La Dc con Gava e De Mita ha scelto l'astensione; con Andreotti e Forlani il voto; con il resto il «sì». È la conferma che la Dc sa essere alternativa a se stessa. Ma per gli alleati della Dc ed in particolare per i socialisti è come essere in compagnia di tanti partiti. Tanto in compagnia che dovrebbero sentire il bisogno di un po' di solitudine. Può darsi che nell'imminente congresso socialista questo sentimento induca a soprassalti di prudenza. O possa suscitare brividi di preoccupazione tenuto conto dell'ammonimento andreottiano che «il potere logora chi non ce l'ha». Tuttavia i socialisti farebbero anche bene a non dimenticare che «il potere non rigenera chi ce l'ha». E l'Italia, ha certamente, bisogno di una forte rigenerazione politica. Ma anche fuori della maggioranza non mancano le ragioni per riflettere. In particolare per il Pds, al cui interno si stanno facendo strada orientamenti contraddittori e, non di rado confusi. Ci sono, infatti, dirigenti i quali ritengono che la maggioranza referendaria a favore della preferenza unica sia quella «dell'Italia pulita». Che scambiano questa maggioranza per una coalizione di governo. Che vi intravedono, o non disperano in una possibile alleanza Gava Occhetto. Ancor più grave è che il Pds propugni una riforma elettorale lanciata a suo tempo da De Mita proprio perché Pds e Psi si dividessero e non potessero mai andare insieme al governo. O si coalizzassero in una alleanza frontista che li condannerebbe entrambi all'opposizione. Non c'è dubbio che, dal canto suo, il Psi sta commettendo errori seri. Ha aperto per prinio la questione decisiva delle riforme istituzionali, ma è apparso, almeno finora, troppo reticente su quale debba essere la riforma da perseguire concretamente. Ha aperto l'ultima cri-
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