Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 18/19 - lug./ago. 1991

sono presenti in tutti i particolari, ma non nella lingua in cui le ho ascoltate. Le ho ascoltate in bulgaro, ma le conosco in tedesco, e questa misteriosa trasposizione è forse la cosa più singolare che io possa raccontare della mia infanzia, e poiché, per quel che riguarda la lingua, il destino della maggior parte dei bambini è diverso dal mio, dovrei forse dire qualcosa su questo punto. Fra di loro i miei genitori parlavano tedesco, lingua di cui io non dovevo capire nulla. Con noi bambini, come coi parenti e con gli amici, parlavano spagnolo, che era poi la nostra vera lingua quotidiana; ma si trattava di uno spagnolo piuttosto antiquato che ho udito spesso anche in seguito e non ho mai più dimenticato. Le ragazzine che lavoravano in casa parlavano soltanto bulgaro ed è probabile che questa lingua io l'abbia imparata soprattutto con loro. Ma poiché non frequentai mai una scuola bulgara e la- ~-ltBIANCO l.XILROSSO 111itlii1Miii sciai Rustschuk quando avevo solo sei anni, il bulgaro l'ho ben presto completamente dimenticato. Tutti gli eventi di quei miei primi anni si svolsero dunque in spagnolo o in bulgaro. In seguito mi si sono in gran parte tradotti in tedesco. Solo eventi particolarmente drammatici, delitti e morti per intenderci, nonché i più grandi spaventi della mia infanzia, mi sono rimasti impressi nella loro fraseologia spagnola, ma in modo estremamente preciso e indistruttibile. Tutto il resto, vale a dire il più, e specialmente tutto ciò che era bulgaro, come appunto le favole, me le porto in testa in tedesco. In che modo precisamente ciò sia avvenuto, non saprei dire. Non so a che punto e in quale occasione questo o quest'altro si sia automaticamente tradotto nella mia mente. Non ho mai indagato su questo, forse sono stato trattenuto dal timore che una ricerca metodica, condotta secondo principi severi, potesse distruggere quel che di più prezioso, in fatto di ricordi, io porto in me. C'è una cosa sola che posso affermare con sicurezza: gli avvenimenti di quegli anni mi sono ancora presenti nella memoria in tutta la loro forza e freschezza - me ne sono nutrito per più di sessant'anni -, tuttavia in grandissima parte sono legati a vocaboli che io allora non conoscevo. Mi sembra naturalissimo metterli ora sulla carta, non ho affatto l'impressione di mutare o deformare alcunché. Non è come la traduzione letteraria di un libro da una lingua all'altra, è traduzione che si è compiuta spontaneamente, nel mio inconscio, e poiché io evito come la peste questa parola che ha perduto ogni reale significato grazie all'uso smodato che se ne fa, mi si vo,gliaperdonare se l'adopero in questo solo e unico caso. (Da La lingua salvata, Adelphi, Milano, 1983, pp. 14-23) Marcovaldoal supermarket A Ile sei di sera la città cadeva in mano dei consumatori. Per tutta la giornata il gran daffare della popolazione produttiva era il produrre: producevano beni di consumo. A una cert'ora, come per lo scatto d'un interruttore, smettevano la produzione e, via!, si buttavano tutti a consumare. Ogni giorno una fioritura impetuosa faceva appena in tempo a sbocciare dietro le vetrine illuminate, i rossi salami a penzolare, le torri di piatti di porcellana a innalzarsi fino al soffitto, i rotoli di tessuto a dispiegare drappeggi come code di pavone, ed ecco già irrompeva la folla consumatrice a smantellare a rodere a palpare a far man bassa. Una fila ininterrotta serpeggiava per tutti i marciapiedi e i portici, s'allungava attraverso le porte a vetri nei magazzini intorno a tutti i banchi, mossa di Italo Calvino dalle gomitate di ognuno nelle costole di ognuno come da continui colpi di stantuffo. Consumate! e toccavano le merci e le rimettevano giù e se le strappavano di mano; consumate! e obbligavano le pallide commesse a sciorinare sul bancone biancheria e biancheria; consumate! e i gomitoli di spago colorato giravano come trottole, i fogli di carta a fiori levavano ali starnazzanti, avvolgendo gli acquisti in pacchettini e i pacchettini in pacchetti e i pacchetti in pacchi, legati ognuno col suo nodo a fiocco. E via pacchi pacchetti pacchettini borse borsette vorticavano attorno alla cassa in un ingorgo, mani che frugavano nelle borsette cercando i borsellini e dita che frugavano nei borsellini cercando gli spiccioli, e giù in fondo in mezzo a una foresta di gambe sconosciute e falde di soprabiti i bambini non più tenuti per mano si I 6) L- ---- - --- -- smarrivano e piangevano. Una di queste sere Marcovaldo stava portando a spasso la famiglia. Essendo senza soldi, il loro spasso era guardare gli altri fare spese; inquantoché il denaro, più ne circola, più chi ne è senza spera: «Prima o poi finirà per passarne anche un po' per le mie tasche». Invece, a Marcovaldo, il suo stipendio, tra che era poco e che di famiglia erano in molti, e che c'erano da pagare rate e debiti, scorreva via appena percepito. Comunque, era pur sempre un bel guardare, specie facendo un giro al supermarket. Il supermarket funzionava col selfservice. C'erano quei carrelli, come dei cestini di ferro con le ruote, e ogni cliente spingeva il suo carrello e lo riempiva di ogni bendidio. Anche Marcovaldo nell'entrata prese un carrello lui, uno sua moglie e uno ciascuno i

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