.P-ll~ BIANCO lXILROSSO 11h1lii i Miii Europa: le radicie la Babele Elias Cane/ti e Italo Calvino: due grandi spiriti europei. Pubblichiamo come «documento», in questo numero che contiene il Dossier su/l'Europa, due brani di questi grandi scrittori. Nel primo è evidenziata magistralmente l'anima pluriculturale e multietnica di una società europea che è già nelle radici storiche dei nostri popoli. Nel secondo brano la fantasia realistica di Calvino racconta quasi una parabola del rischio consumistico e senza futuro che può avvinghiare tutti, uomini e cose, precipitando l'Europa nel buio di un nulla che macina e distrugge anche l'anima. Come una doccia scozzese: al caldo e affettuoso brano di Canetti, fa seguito l'affascinante, ma drammatica e glaciale parabola di Calvino. Verso quale Europa, tra le due, vogliamo avviarci? Ed è possibile, eventualmente, coniugare al meglio il positivo delle due prospettive? La risposta al lettore. Dentroun groviglio di lingue R ustschuk, sul basso Danubio, dove sono venuto al mondo, era per un bambino una città meravigliosa, e quando dico che si trova in Bulgaria ne do un'immagine insufficiente, perché nella stessa Rustschuk vivevano persone di origine diversissima, in un solo giorno si potevano sentire sette o otto lingue. Oltre ai bulgari, che spesso venivano dalla campagna, c'erano molti turchi, che abitavano in un quartiere tutto per loro, che confinava col quartiere degli «spagnoli», dove stavamo noi. C'erano greci, albanesi, armeni, zingari. Dalla riva opposta del fiume venivano i rumeni, e la mia balia, di cui però non mi ricordo, era una rumena. C'era anche qualche russo, ma erano casi isolati. Essendo un bambino non avevo una di Elias Canetti chiara visione di questa molteplicità, ma ne vivevo continuamente gli effetti. Alcune figure mi sono rimaste impresse nella memoria semplicemente perché appartenevano a particolari gruppi etnici e si distinguevano dagli altri per l'abbigliamento. Fra la servitù che ci passò per casa nel corso di quei sei anni, una volta ci fu un circasso e più tardi un armeno. La migliore amica di mia madre era Olga, una russa. Una volta alla settimana, nel nostro cortile venivano gli zingari, tanti che mi parevano un popolo intero, e io mi sentivo invaso da un grande spavento di cui parlerò più avanti. Rustschuk era un'antica città portuale sul Danubio e come tale aveva avuto la sua importanza. A causa del porto aveva attirato persone da ogni I <,O L - - --- - - - -- parte, e del fiume si faceva un gran parlare. Si raccontava degli anni eccezionali in cui il Danubio era gelato; delle corse in slitta sul ghiaccio fino in Romania; dei lupi famelici che inseguivano i cavalli che trainavano le slitte. I lupi furono i primi animali feroci di cui sentii parlare. Nelle fiabe che le mie bambinaie bulgare mi raccontavano c'erano i lupi mannari, e una notte mio padre mi spaventò comparendomi davanti con una maschera da lupo sul viso [... ] . Di tutte le favole che mi furono raccontate, mi sono rimaste impresse soltanto quelle dei lupi mannari e dei vampiri. Forse non se ne raccontavano altre. Non posso prendere in mano un libro di fiabe dei Balcani senza riconoscerne immediatamente più d'una. Mi
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==