Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 18/19 - lug./ago. 1991

{)JL BIANCO OllLROSSO i lii B11 Ali iNJ tiM itU Praga: memorie sepolte e presente di crisi A ricordo della Praga kafkiana raffinata e surreale tra le due guerre restano solo le cadenti mura dei palazzi un tempo splendenti ma oggi malinconicamente sorretti, tra l'indifferenza generale, da polverose impalcature arrugginite. Tornare a Praga due anni dopo la fine della cosiddetta «rivoluzione di velluto» significa rinunciare all'illusione che almeno un piccolo pezzo della vecchia, cara e tanto decantata Mitteleuropa sia sopravvissuta. Passati i momenti della liberazione, dell'eccitazione e delle belle speranze, a Praga è tempo di confronto e scontro con i gravi guasti sociali, economici e culturali prodotti dall'incuria e incapacità del defunto sistema. Quarant'anni di forzata simbiosi col modello comunista hanno infatti lasciato un'impronta indelebile, nella coscienza collettiva così come nelle situazioni concrete. Oltre che da torme di turisti, Praga sembra oggi animata soprattutto da un esercito di donne che professano il più antico mestiere del mondo. Le statistiche ufficiali parlano di 30 mila su una popolazione di un milione. Da quando, pochi mesi fa, è stato sancito il ritorno all'iniziativa privata, la prostituzione è, assieme ai cambiavalute in nero e ai taxi (che in pochi mesi hanno superato le 4 mila unità) il business più fiorente della neonata economia di mercato. Tutto questo mentre il resto della società - a parte qualche iniziativa privata spuntata qua e là a caso - sembra in attesa di capire quali prospettive possa offrire il futuro; ed intanto continua a vivacchiare adagiandosi sui servizi obsoleti e sugli screditati modelli di Monique Bernath organizzativi ereditati dal passato regime. La terapia-shock adottata dai tre ministeri economici nei primi mesi di quest'anno non sembra produrre ancora l'effetto sperato. Dalle due leggiquadro sulla privatizzazione dei beni immobili e delle imprese pubbliche a quella sulla liberalizzazione dei prezzi e degli investimenti stranieri, alla svalutazione della corona: grosse novità indubbiamente introdotte dal governo federale con il contributo di esperti stranieri e di esuli tornati in patria. Ma la coscienza collettiva non sembra ancora scalfita, se non in modo marginale. Manca infatti una cultura di impresa, mancano valori come innovazione, rischio, efficienza, incentivazione e controllo di gestione, capaci di provocare effetti radicali sul sistema produttivo ed economico del paese. Non vanno poi sottovalutati gli effetti negativi determinati dalla drastica contrazione del mercato sovietico, cui si rivolgeva principalmente l'offerta di prodotti di bassa qualità delle industrie locali. Il problema del paese non è quindi unicamente quello di reperire fondi per acquistare tecnologie e prodotti dall'Occidente. Il nodo centrale è ricreare una classe dirigente e imprenditoriale capace di riorganizzare il sistema produttivo nazionale secondo le regole di un'economia di mèrcato e ricollegarlo col mercato internazionale. In attesa che questo avvenga, si assiste alla disaggregazione spontanea del vecchio tessuto economico, le cui singole unità produttive si muovono come impazzite, al di fuori di ogni programmazione e regola. Intanto, è guerra tra i tre ministeri economici. La drastica concezione liberista propugnata dal ministro delle Finanze e presidente del nuovo Partito democratico civico, Vaclav Klaus, si scontra con quella più mediata e riformista del ministro dell'Economia nonché con quella che propugna una sia pure minima programmazione del neonato ma già contestato Ministero della Pianificazione strategica. A Praga si litiga infatti su tutto anche sulle parole. E mentre si discute sul significato della parola «pianificazione» e su quello di «liberismo», si riaccendono le vecchie tensioni tra cechi e slovacchi, congelate per 40 anni sotto il manto comunista. Lo smantellamento dell'industria pesante voluto dal governo federale sta infatti creando, soprattutto in Slovacchia, un'alta percentuale di disoccupati, che il paese non è in grado di riassorbire. Tutto questo mentre il grave degrado ambientale richiede interventi sempre più costosi e urgenti. Per non parlare dell'esigenza di impostare al più presto correttivi di carattere sociale che fungano da stampelle ad una società che dovrà confrontarsi sempre più con prove e sacrifici prima di puntare ad un processo di integrazione europea. Questa è, in fondo, la scommessa cui puntano anche gli altri paesi dell'Est per il prossimo futuro. Richiederà tempo, ma la Cecoslovacchia riuscirà certamente a vincerla, anche se Praga non tornerà comunque ad essere quella fantastica città mitteleuropea che il comunismo ha ormai sepolto per sempre.

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