Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 18/19 - lug./ago. 1991

ne di una cultura di guerra e di scontro che ha ispirato le popolazioni della regione nel corso di tale periodo, c'è motivo di credere che l'epilogo della guerra del Golfo potrà rendere ancora più difficile la pace e la stabilità nella regione. La situazione richiede una profonda ricerca mentale da parte dei paesi arabi. In effetti, il rifiuto arabo di riconoscere lo Stato di Israele e i loro tentativi di eliminare tale paese con la forza e con azioni terroristiche che hanno insanguinato non solo Israele ma anche altri paesi occidentali, particolarmente in Europa, hanno portato all'occupazione da parte di Israele dell'intero territorio palestinese, delle alture del Golan e di parte del Libano meridionale da parte delle milizie del maggiore Haddad. Queste tattiche hanno anche avuto la conseguenza che gli organi delle Nazioni Unite nelle loro deliberazioni non parlassero più di «paesi arabi» a proposito della Palestina ma semplicemente dei «territori occupati». A ciò si aggiunge la controversia tra la versione in lingua inglese e la versione in lingua francese della Risoluzione n. 242 del Consiglio di Sicurezza su quali siano i territori «occupati». Questo atteggiamento ha anche fomentato, in Israele e altrove, tendenze molto conservatrici, rendendo ancora più difficile trovare una soluzione negoziata del problema e rendendo la vita dei palestinesi nei territori occupati molto difficile, come si può vedere dai metodi violenti usati per affrontare l'Intifada. Per l'Occidente in generale e per l'Europa in particolare, la difesa dei diritti di Israele non è incompatibile con la difesa dei diritti del popolo palestinese, e viceversa. Il 29 gennaio del 1991, il segretario di Stato americano Baker ed il Ministro degli Esteri sovietico Bessmertnkh in una dichiarazione congiunta affermavano, tra l'altro, che« ... nella situazione conseguente alla crisi del Golfo, iniziative congiunte Usa-Urss, in consultazione con le parti interessate della regione, promuoveranno e faciliteranno la pace tra gli Arabi e Israele e la stabilità nella regione ... ». Il 3 febbraio 1991, vale a dire cinque giorni dopo la dichiarazione congiunta Usa-Urss, il Primo Ministro israeliano, ~-l.t BIAl\CO lXltROSSO •• 11411di i iiti4i111 i Shamir, decideva di inserire nella maggioranza parlamentare del suo governo il minuscolo partito «Molodet» il cui leader, il brigadiere generale di riserva Rechavam Ze'Evi, è uno sfacciato sostenitore del «trasferimento», in altre parole dell'espulsione verso i paesi arabi dei palestinesi che vivono nei territori occupati. La legge che definisce le modalità per l'acquisizione della cittadinanza israeliana, la famosa «legge del ritorno» conferisce agli ebrei di tutto il mondo il diritto di diventare, se lo vogliono, cittadini dello Stato d'Israele. È stato così che con l'avvio del processo di liberalizzazione in Unione Sovietica, circa un milione e mezzo di ebrei russi sono emigrati in Israele o si prevede che lo facciano. Questo spiega la porzione assunta dal Primo Ministro Shamir, secondo la quale in nessuna circostanza un processo di pace tra Israele e gli Arabi può prendere in considerazione la perdita di una porzione, anche minima, del territorio d'Israele, «territori occupati» compresi. I diritti dei palestinesi Gli errori fatti dai leaders arabi, a volte errori molto gravi, non diminuiscono in alcun modo i diritti del popolo palestinese di fronte al diritto internazionale. Un vero processo di pace nella regione, e l'avvio di una soluzione della questione palestinese richiede da un lato l'inequivocabile riconoscimento da parte del mondo arabo dello Stato di Israele e dall'altro un altrettanto fermo impegno da parte di Israele di ritirarsi dai territori occupati. Israele deve anche accettare come interlocutore palestinese l'organizzazione scelta dai palestinesi, capace di impegnare la maggioranza più larga possibile del popolo palestinese in un processo di pace con Israele. I diritti umani La pace e la stabilità nella regione significano dunque innanzitutto e più di tutto il rispetto del diritto internazionale. Ma non si deve dimenticare, tuttavia, che il diritto internazionale è ignorato non solo nelle relazioni tra gli stati, ma anche all'interno degli stessi. In paesi come il Bahrein, il Kuwait, l'Oman, il Qatar e l'Arabia Saudita, ■ 57 dove vigono sistemi politici basati su monarchie assolutistiche, non c'è spazio per alcun tipo di opposizione; i partiti politici non hanno diritto di cittadinanza; non esiste libertà di espressione o di stampa; ed il movimento sindacale non ha il diritto di esistere o, laddove esiste, interessa soltanto i lavoratori nazionali, che rappresentano una piccolissima parte della popolazione salariata, dato che la maggioranza è costituita da lavoratori immigrati. La maggioranza dei lavoratori, provenienti per la gran parte da paesi poveri, vengono assunti con contratti individuali, senza alcun diritto alla contrattazione collettiva. Tutto ciò è in diretta contraddizione con le convenzioni internazionali delle Nazioni Unite o di sue agenzie specializzate come l'Oil, di cui sono membri detti governi. Sono anche violate le convenzioni internazionali in materia di diritti umani in lrak, Siria e Yemen, tutti paesi con un regime dittatoriale. La guerra del Golfo ha, tra le altre cose, messo in luce la vasta concentrazione di ricchezza nella regione, suddivisa tra alcuni stati, mentre paesi come la Giordania, l'Egitto, Io Yemen, il Sudan, per non parlare della Tunisia e del Marocco, attraversano gravissimi problemi economici. L'occupazione del Kuwait da parte dell'lrak è stata senza dubbio alcuno una violazione molto grave e palese del diritto internazionale, e, nell'interesse di tutti, ha richiesto una risposta rapida, ferma ed esemplare. Non possiamo tuttavia ignorare il fatto che il diritto internazionale è stato parimente violato dal mancato rispetto delle decisioni delle Nazioni Unite per una soluzione della questione palestinese, o dagli eventi nel Libano. Il diritto internazionale viene altresì calpestato all'interno della maggior parte dei paesi della regione dalla natura stessa dei loro regimi, che disprezzano i diritti umani e sindacali fondamentali. L'azione dei paesi della oalizione internazionale, dispiegata sotto l'egida delle Nazioni Unite per la liberazione del Kuwait, perderebbe di ogni significato se la stessa coalizione rifuggisse dal ricercare una soluzione ai gravi problemi che continuano a minacciare la pace e la stabilità nella regione.

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