superata mediante l'assunzione, spesso generica e acritica dell'ideologia della «modernizzazione», che se talvolta accompagna ceti e gruppi sociali emergenti e quindi risponde a talune esigenze espansive e modernizzanti, tuttavia non necessariamente queste vengono a coincidere con i requisiti di identità di istanze e valori propri dei partiti riformisti. Anzi, spesso «modernismo» è sinonimo di smantellamento dello stato sociale e delle sue politiche. Insomma, per certi versi le politiche dei partiti riformisti europei paiono oscillare tra un richiamo nostalgico alle vecchie identità del passato, con soprassalti di ideologismo di stampo ottocentesco senza più fondamento, e un'assunzione acritica di forme tanto deboli di progressismo da smarrire ogni effettiva caratterizzazione «riformista». La stessa idea di «sinistra» appare ormai sempre più evanescente e sfumata. Sicché la crisi di «astinenza ideologica» spinge ampie zone della sinistra, soprattutto di quella laica, ad inseguire forme ideologiche di stampo integrista, confuse e velleitarie, come i recenti avvenimenti in occasione della «guerra del Golfo», con le polemiche sul papismo e sul pacifismo, hanno ampiamente dimostrato. A questo punto dobbiamo chiederci: quale riformismo è possibile dopo la rivoluzione dell'Est, quando il riformismo deve ritrovare un'autonoma e nuova forza di caratterizzazione? La sinistra è ancora in grado di esprimere politiche espansive, pur mantenendosi fedele ai propri principi ispiratori di fondo? Oppure i governi della sinistra costituiscono solo il momento del «venerdì santo» delle ere conservatrici, quando il liberismo sfrenato fa riapparire la miseria e l'esclusione si generalizzi? O, in alternativa, il futuro della sinistra è il populismo demagogico? Né pare sufficiente quanto di recente Bobbio ha sostenuto: che la fine del comunismo non esaurisce la necessità di una sinistra «per» gli esclusi. Non si può che essere d'accordo. Tuttavia, l'aspetto debole di questa definizione sta appunto in quel «per», che sembra fare riferimento piuttosto ad una finalità esterna al soggetto partito, piuttosto che ai fini intrinseci di riformismo medesimo. Certamente, ogni progetto fondato sui valori di giustizia e di solidarietà non può non sentire come im- .i).li, HIANCO lXll,HOSSO iit•#did mediatamente intollerabile non solo l'affermarsi e il permanere degli «esclusi». Ma l'atteggiamento critico non può non coinvolgere anche quei valori e quei modelli di società che accettano che l'esclusione sia un dato fisiologico e naturale. Inoltre, queste società sono criticabili anche in quanto l'ideologia dell'esclusione penetra in ogni fibra della società e della cultura, nei suoi modi di vita e di azione. Mi chiedo, perciò, se un moderno partito riformista non debba porsi delle domande radicali sia in rapporto alla individuazione dei propri valori etici di riferimento, sia in relazione alla determinazione della natura e del significato di alcune strutture costanti essenziali che, nella equivoca persistenza del nome con quello di fasi storiche precedenti, racchiude ormai realtà spesso del tutto diverse. Intendo riferirmi a significati come Stato, mercato, economia, società, democrazia, proprietà, individuo, impresa. E ancora ad una costellazione di valori patrimonio tradizionale della sinistra, quale riformismo, giustizia, solidarietà, eguaglianza, per giungere alla stessa idea di «socialismo». Né si può dimenticare che esiste una sorta di a-priori indiscusso, legato al fatto che le società del benessere ragionano a partire da una «delimitazione di campo» che comprende esclusivamente i Paesi ad essa omologhi. Sempre più viviamo inconsapevolmente o meno, in un sistema di riferimento globale di tipo dualistico, dove le questioni sopra individuate, in assenza di una considerazione unitaria e globale della società, assumono significati del tutto diversi a seconda che essi facciano riferimento alle società del terzo e del quarto mondo e alle nostre società dell'opulenza. Dove in realtà, l'accettazione di questa dicotomia si colloca fin dall'inizio all'interno del «paradigma dell'esclusione», paradigma che quindi viene fatto inconsapevolmente valere come fatto ovvio e naturale anche all'interno delle culture di sinistra. Il rischio determinato dal crollo dei comunismi rischia di essere quello della completa liquidazione di ogni pensiero sociale a valenza universale a favore di una ideologia generalizzata dell'individualismo inteso come dominio dell'interesse personale e come ricerca calcolata del piacere. A ciò deve aggiungersi : 50 il fatto che la tendenza all'individualismo metodologico [Mancur Olson] sembra rifiutare l'idea stessa di società. Dai valori collettivi si passa alle strategie di affermazione del modello utilitaristico dei comportamenti umani. Il pericolo di una liquidazione del socialismo e della solidarietà come riferimenti etico-politici consiste essenzialmente nella eliminazione della cultura del progetto nella quale l'interesse collettivo - e dunque l'armonizzazione dei legittimi interessi individuali con l'insieme degli interessi di ciascun individuo e dunque della collettività nel suo insieme - divenga regolatore anche dell'interesse di ciascuno. Non si tratta di fare riferimento ad una astratta collettività, quanto di tener presente, con Amartya Sen, il compito di espandere la libertà dei membri della comunità mantenendo nel contempo una relazione di uguaglianza e di libertà fra tutti. Questo significa anche non scindere i processi e le mete sociali, dai processi e dalle mete individuali. In qualche modo diviene un ideale limite la scommessa che ogni progetto individuale può e deve essere in qualche modo anche un progetto sociale. Il problema del socialismo di oggi diviene allora quello di mantenere il carattere di finalità comuni, di un destino della società come vincolo creativo tra le libertà individuali. Si tratta cioè di una nuova forma di solidarietà all'interno di una espansione, e non di un deperimento, delle libertà. Questo significa anche la necessità di liberare ulteriormente il progetto socialista da ogni residuo mito di una società perfetta, senza tensione, in cui il destino individuale si risolva nella felicità di un essere collettivo. Perciò occorre mantenere gli obiettivi che si propongono alla società sempre all'interno di una progettualità aperta, perfettibile e confutabile, dove quindi la discussione e il giudizio pubblico costituiscano strutture essenziali dell'autocorrezione, in quanto aspetti della partecipazione. L'espansione della democrazia, in un momento nel quale le questioni di complessità e di efficienza tendono a porre il consenso e la partecipazione come superflui, costituisce un obiettivo primario. L'incontro con il contrattualismo della teoria della giustizia di Rawls può
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