Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 18/19 - lug./ago. 1991

sempre più insistentemente Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia bussano alla porta della Comunità. L'obiettivo del mercato unico, nel gennaio del '93, è finora risultato un buon pretesto per posticipare a dopo tale scadenza l'approvazione di qualsiasi domanda di adesione presentata. Tuttavia, la priorità preliminare data alla realizzazione del mercato unico non sposta che di poco i termini del problema; e ben lo hanno dimostrato in questi ultimi sei mesi i negoziati in corso tra la Cee e la Polonia, l'Ungheria e la Cecoslovacchia, volti a definire i confini e i termini dei futuri «accordi europei». Iniziati dalla Cee con l'intento, espresso dalla Commissione, di promuovere la reciproca cooperazione economica e culturale, gli «accordi d'associazione» (o «europei») intendevano eludere di proposito la questione di una futura adesione alla Comunità europea dei paesi «associati»; non solo, ma essi intendevano sottolineare che, al contrario, la firma degli «accordi di associazione» non avrebbe preluso in alcun modo ad una futura adesione. La questione appariva sin dall'inizio delicata, non solo per l'espresso desiderio dei paesi dell'Est di vedere inclusa questa possibilità negli «accordi», ma perché il testo stesso dei Trattati poteva dar adito a rivendicazioni sul «diritto» di adesione da parte di questi paesi. L'art. 237 del Trattato Cee infatti afferma che «ogni stato europeo può domandare di divenire membro della Comunità». La fine della divisione dell'Europa in due blocchi, l'entusiasmo per le comuni radici culturali ritrovate, gli antichi legami storici esistenti hanno risvegliato molte domande sulla identità geopolitica dell'Europa; come negare oggi ai paesi dell'Est lo statuto geografico di stato «europeo»? Come escludere questi paesi risolutamente dall'ipotesi concreta di una futura adesione alla Cee, laddove si incoraggia la firma di un accordo «europeo» di cooperazione economica e culturale? Le contraddizioni insite in una simile posizione hanno fatto sì che, nel corso dei negoziati, la posizione Cee si sia evoluta verso una maggiore flessibilità; tanto che si è finito col convenire che 1111 # id Barcaiolo lipomeno del delta del Danubio nell'ambito degli accordi venga fatto riferimento esplicito ad una futura adesione degli stati europei «associati». Ora si negoziano i dettagli più specificamente commerciali che dovrebbero assicurare ad entrambe le parti vantaggi reciproci dall'apertura dei mercati. Mentre la Comunità europea si accinge a riorganizzare in un nuovo equilibrio i propri rapporti con l'Est, le questioni «interne» più specificamente politiche, nonché quelle istituzionali e quella monetaria debbono ancora essere risolte. La Comunità si trova così a dover affrontare contemporaneamente due ordini di problemi, che secondo alcuni potrebbero fondersi in una soluzione globale: ridefinire i propri poteri nell'ambito delle Conferenze intergovernative e nello stesso tempo dare delle risposte a quei paesi che aspirano a divenire membri di una comunità europea allargata. Alle pressioni esercitate dai paesi orientali (più ambiziose nel caso della Polonia, che vorrebbe aderire alla Comunità dal '92, più realistiche nel caso ungherese, che ambisce all'adesione entro il 2000) si sono date finora risposte imbarazzate o confuse: il caso più estremo è stato la coniazione da parte del commissario Andriessen del concetto di stato «affiliato» (ovvero più che «associato» ma non ancora «aderente», termine che peraltro non ha alcun significato giuridico preciso e si presta a fraintendimenti. La proposta «affiliazione» non è che l'ultima delle tante formule che nel corso dell'ultimo anno sono state suggerite per inquadrare i termini del nuovo ordine europeo; si è parlato a suo tempo di «cerchi concentrici», mentre altri insistevano sulla costruzione di una Confederazione europea. Ciò che più stupisce, in questo abbondante fiorire di formule e soluzioni, è che nell'impostare le relazioni con l'Europa dell'Est, la Cee non si serva a sufficienza della propria collaudata esperienza di interlocutore privilegiato dei «gruppi regionali». La Comunità europea, in quanto essa stessa «gruppo regionale», tradizionalmente incoraggia la formazione di aggregazioni economiche, eventualmente dotate di istituzioni proprie, con le quali la Commissione può instaurare un dialogo permanente. È questo il caso non solo dei 69 paesi Acp (Africa, Caraibi e Pacifico), ma anche dell'Ala (Asia and Latin America) e dell' Asean (Association of South East Asian Nations), solo per citare i «gruppi regionali» più noti. Il successo delle relazioni che la Cee è venuta instaurando con questi interlocutori non sembra tuttavia sufficiente per incoraggiare anche in Europa dell'Est un'operazione preliminare di questo tipo. Gli accordi bilaterali rimangono per la politica comunitaria con l'Est lo strumento privilegiato. Oltre ai vantaggi immediati, a livello di politica commerciale, che l'apertura dei singoli mercati dei paesi dell'Est sembra offrire agli investitori comuni-

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==