una politica ambientale. I principi della prevenzione e del «chi inquina paga» hanno una posizione centrale nella politica ambientale della Comunità, tuttavia il sostegno finanziario gioca anche la sua parte nel raggiungimento degli obiettivi di un'Europa più pulita. Così nel giugno 1988 venne raggiunto un accordo formale per concentrarsi su cinque importanti priorità: promuovere la ristrutturazione delle aree della Comunità economicamente più arretrate, trasformare le aree colpite dal declino industriale, combattere la disoccupazione a lungo termine, facilitare ai giovani l'accesso al mercato del lavoro, migliorare le strutture agricole e sviluppare le comunità rurali alla luce delle riforme della politica agricola comune. Prossimo perno della politica ambientale a dodici stelle sarà l'Agenzia europea dell'ambiente. La solita guerra sulla sede di una struttura comunitaria ha finora prevalso sugli obiettivi di una struttura che non vorremmo sia solamente un centro di raccolta dati sull'inquinamento. Dovrà lavorare anche con i Paesi scandinavi e dell'Est per essere un punto forte e credibile di denuncia e di azione. li vero problema europeo di questi ,{)_f.l, Bl.\~CO lXll,llOSSO Ut•#Old anni è comunque la reale applicazione del diritto comunitario. L'Italia è in testa nella classifica degli inadempimenti. Nel settore ambiente, in particolare, i nostri Governi hanno collezionato nel 1989 il più alto numero di ricorsi alla Corte di Giustizia di Lussemburgo e sono in corso le procedure relative ad infrazioni sulle direttive per la eliminazione degli oli usati e del Pcb, sull'analisi delle acque superficiali, sui rifiuti tossici e nocivi, sulla qualità delle acque dolci e di quelle destinate al consumo umano, sull'inquinamento atmosferico, sulla protezione sanitaria contro le radiazioni ionizzanti, tanto per citare qualche argomento. Più in generale, nel 1989 (ultimi dati disponibili) su un totale di 664 lettere di intimazione l'Italia ne ha ricevute ben 11O(nel 1982 erano 62); di 180 pareri motivati ben 53 ci riguardavano (34 nel 1982); su 96 ricorsi presentati alla Corte di Giustizia 35 interessavano il nostro Paese (nel 1982 erano 14). Del resto, va rilevato che, se pure negli ultimi anni è aumentato in misura notevole il numero delle direttive recepite, è anche vero che sempre più spesso non si va oltre il recepimento formale. Basta vedere, ad esempio, la quasi totale disapplicazione delle direttive sulla Valutazione d'Impatto Ambientale, sull'inquinamento atmosferico da industrie (con gli incredibili ritardi governativi del dare attuazione al Dpr 203 del 1988) o sui rifiuti (con l'assurdo inquinamento da leggi propinatoci dal Governo). E come se non bastasse, il nostro Paese, dopo aver recepito le direttive ha, alcune volte, tentato di annullarne l'applicazione o non emettendo atti dovuti o emettendo atti amministrativi contrastanti con le direttive. È quanto avvenuto, ad esempio, nel settore dei rifiuti dove il Governo ha collezionato 66 inadempimenti su 94 scadenze previste dalle leggi in vigore e dove ha tentato di annullare, in pratica, tutta la normativa di tutela dai rifiuti industriali, creando la categoria delle materie prime secondarie, con un decreto giustamente dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale, e sicuramente in contrasto con la definizione di rifiuto derivante dalla normativa Cee. Insomma, se ce ne fosse bisogno, anche l'esame della normativa comunitaria in tema di ambiente ci porta al nodo di fondo dell'applicazione del diritto ed alla conclusione che, quando si scrive di leggi e di ambiente (e non solo di ambiente), occorre sempre evitare di limitarsi al dato formale, troppo spesso smentito dalla realtà. Un nuovo equilibrio tra Cee ed Europa dell'Est D ecantato il primo momento per il trionfo delle democrazie all'Est, portati a termine gli aiuti alimentari più urgenti, iniziata la fase operativa dei primi programmi comunitari di assistenza tecnica, si è passati ormai «dalla poesia alla prosa». La questione fondamentale che oggi si pone alla Comunità europea nelle di Marcella Pellegrino sue relazioni con l'Europa centroorientale è quella di definire che tipo di rapporto instaurare con i singoli paesi dell'Est. Una delle difficoltà maggiori a questo riguardo è data dal fatto che la Cee si trova a dover dare delle risposte concrete alle domande d'adesione alla Comunità provenienti da Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia innanzitutto, senza che siano state ancora definite quali saranno le competenze e le istituzioni alla base della futura unione politica e monetaria europea. Le pressioni esercitate dai paesi dell'Est per entrare a far parte della Cee al più presto non lasciano molto spazio a chi preferirebbe temporeggiare; e
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