,P-tJ. RIAl\CO il.li, ROSSO iii•iil•ii su Il Pds risponda Grande Riforma e Unità di Luigi Covatta e on buona pace dell'onorevole Galloni, la Grande Riforma non è la Rivoluzione. Può sembrare, però, perché quando se ne discute produce effetti ottici rivoluzionari. Nel senso del rovesciamento della prospettiva. Il presidente dell'organo giurisdizionale che decide sull'ammissibilità dei referendum, sui conflitti fra i poteri dello Stato, sulla legittimità degli atti del presidente della Repubblica, esprime da privato cittadino opinioni su materie su cui il collegio che presiede potrebbe essere chiamato a pronunciarsi. Fosse un pretore, qualunque avvocaticchio lo ricuserebbe. Invece, passa per un eroe del libero pensiero. Il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura dà dell'eversore al Capo dello Stato. Quasi quasi, si pretende che sia quest'ultimo a chiedergli scusa. Un'alta carica dello Stato paragona il segretario del Psi ad Hitler. L'arrogante è Craxi, perché si ripromette - se se ne ricorderà - di replicare solo quando l'insolente non sarà più in carica. Un ministro che ha condotto in porto una legge delicatissima, costata anche una semi-crisi di governo, chiede di restare in carica per applicarla. Il segretario del suo partito, che gli nega questo elementare diritto, e nega soprattutto ogni logica di responsabilità istituzionale, merita gli applausi del coro anti-partitocratico ed anticencellesco. Un autorevole senatore democristiano, nel discutere della repubblica presidenziale, evoca lo spettro di Pinochet. Le sinistre lo applaudono, dimenticando di chiedergli conto di quello che fu il ruolo della Dc nel massacro di Allende e della democrazia cilena. Il presidente della Repubblica ricorda che all'epoca del «piano Solo» era soltanto sottosegretario alla Difesa, e allude a responsabilità ben più gravi del vertice democristiano di allora. La sinistra, con tanti saluti ai teoremi anni '70 sul «sistema di potere democristiano», punta l'indice accusatore contro l'ex sottosegretario e trasforma un possibile scontro etico-politico in processo di pretura. Il conflitto fra Cossiga e la Dc replica quello fra Moro e il suo partito. Per tutta risposta, la sinistra fa la pace con Gava. Il mondo alla rovescia, insomma. Esattamente come dopo la Rivoluzione. Con la differenza che questa Rivoluzione ottica preventiva serve solo ad esorcizzare la Riforma possibile. Si dirà: sono ragionamenti da Candide. Interpretazioni letterali, laddove è facile scorgere, dietro le battute del copione, una trama più complessa. Vero. Ma meglio Candide che Pangloss. Meglio l'ingenuità paradossale che quella ottusa. Candide apre la strada al secolo dei lumi. Pangloss, coi lumi, al massimo rischiara la strada di casa. Cossiga è il Candide di questo scorcio di storia italiana. Non è necessario condividere tutte le sue prese di posizione. È necessario comprendere il suo metodo: quello del paradosso, appunto. A cominciare dal paradosso del presidenzialismo. I panglossiani obiettano: se il presidente della Repubblica parlamentare è così interventista, chi ci salverà dal Presidente eletto dal popolo? Chi non ha perso lucidità, invece, comprende il paradosso. Che consiste nel mettere in rilievo (magari in modo estremo, come esige l'argomentare paradossale) quelli che oggi sono i poteri legittimi del Presidente; e nel dimostrare che, per esercitare questi poteri, la legittimazione parlamentare non è sufficiente. La grande Riforma non è la Rivoluzione, dunque. Ma neanche la Grande Riforma è un pranzo di gala. Sono in gioco i poteri consolidati. È in gioco la continuità di un'oligarchia. Se l'onorevole Galloni, quando ha disinvoltamente evocato l'immagine della Rivoluzione, alludeva a questo, si può concordare. Quello che abbiamo visto in questo primo semestre
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==