Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 18/19 - lug./ago. 1991

L'esplosione demografica crea un'onda migratoria che ha già infranto le labili difese dei confini degli Stati e risulta straordinariamente irresponsabile se raffrontato all'inaridirsi delle fonti di sostentamento. Su questi nodi è necessario intervenire per attivare un ciclo di sviluppo. È molto importante affermare il diritto all'emancipazione della donna africana, approntare piani di tutela della salute, sensibilizzare sulla que- »-JJ, BIANCO lXll,llOSSO Ut•#hiii stione ambientale. Ma se non si è in grado di produrre e ripartire ricchezza, anche queste nobili questioni rimangono insolute. Ed i fatti lo dimostrano. C'è una proposta lungimirante che da parte italiana è stata formulata agli altri partners europei. Quella di portare il prelievo ali' 1 O/o del Pii e di destinarlo all'Europa Orientale, al Nord Africa, ai Pvs. La proposta è strutturata anche per poter rispondere alle questioni alle quali accennavo più sopra. Essa si pone, tra l'altro, l'obiettivo di gestire equilibratamente e contestualmente la nuova situazione in Europa Orientale e quella acuta del NordAfrica e dei Pvs attraverso un'equa ripartizione delle risorse messe in campo. Mi auguro che non occorra un'altra Guerra del Golfo per indurci ad allentare i cordoni della borsa. Migrazionie ambiente: la sfida mediterranea L ,. . d' . mtrecc10 perverso 1 tensioni demografiche, disavanzo alimentare e degrado ambientale pervade gran parte dell'area mediterranea: questa area si configura pertanto come un «laboratorio» particolarmente idoneo per analizzare gli squilibri tra Nord e Sud che sempre più caratterizzeranno le relazioni internazionali. La Comunità Europea considera la sua ampia «appendice mediterranea» un peso economico da sopportare in nome della politica, oltre che della Storia: l'Europa non potrebbe mai aspirare ad una strategia di ambizioni mondiali se ristretta al suo nucleo centrale. De Gaulle - e pochi altri allora (1962) «utopisti» - era convinto che questa logica implicasse inevitabilmente la necessità di una Europa «dall'Atlantico agli Urali». In effetti ogni volta che la Comunità Europea si allarga con nuove adesioni, bisognerebbe cogliere l'occasione per chiedersi non solo «come» fare l'Europa, ma soprattutto «perché» fare l'Europa. Il grande limite degli europeisti è che essi danno per scontata la necessità di fare l'Europa, e quindi si compiacciono di consensi tanto ampi quanto amdi Giulio Querini bigui, se non addirittura contraddittori: mentre tutte le unioni - specie i matrimoni di interesse - richiedono obiettivi puntuali e ben delineati. Questi problemi di «coerenza» (in tutti i sensi) acquistano un rilievo particolare nel momento in cui la Cee deve esprimere un orientamento sulle richieste di adesione di Paesi come Malta, Cipro, la Turchia, il Marocco. Infatti, se la «appendice mediterranea» è già un peso - l'Italia, la Grecia e il Portogallo ritardano l'unione monetaria - perché ampliarla con nuove adesioni? D'altra parte, se la prospettiva di nuove adesioni viene esclusa - come sembra probabile, almeno a breve scadenza - che tipo di rapporti la Cee può instaurare con i Paesi Terzi del Mediterraneo (Ptm)? Una prima considerazione è che l'evoluzione demografica, economica ed ambientale in atto nei Ptm avrà conseguenze sempre più importanti sui Paesi della Cee, soprattutto su quelli che si affacciano sul Mediterraneo. Lo sforzo che i Ptm devono sostenere per fronteggiare un crescente disavanzo alimentare avrà effetti ambientali gravissimi se l'espansione della produzio- • -U ·-- .,.,_ ..,_., ... ne agricola verrà perseguita con le attuali tecnologie, altamente inquinanti. D'altra parte, se l'agricoltura dei Ptm non verrà adeguata alle esigenze di una popolazione in rapida crescita, è prevedibile un'ulteriore forte sollecitazione all'emigrazione verso i Paesi Cee. È evidente che la soluzione, nel lungo periodo, può consistere solo nell'adozione di tecnologie agro-industriali «appropriate» alle particolari situazioni del mercato del lavoro e dell'ambiente naturale. Nel frattempo tuttavia, cioè immediatamente, è necessario che la Cee intervenga comunque per evitare che vengano compromesse le condizioni essenziali per ogni futuro sviluppo economico: per evitare cioè che il degrado sociale ed ambientale divenga irreversibile. Le modalità di tale intervento sono oggetto - dalla fine della guerra del Golfo - di un dibattito tanto vivace quanto confuso, anche per le sue molteplici connessioni con il problema, per taluni aspetti analogo, del ruolo della Cee nell'Europa Orientale. Da più parti viene sostenuta l'opportunità di creare una «Banca per il Mediterraneo» che avrebbe come obietti-

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