stengono. Il che sembrerebbe indicare che in prospettiva l'alternativa forte, anche sul piano internazionale, si pone fra estensione dei modelli collaborativi ed affermazione di metodi di regolazione unilaterale dei rapporti di lavoro, o come si dice di fordismo internazionale. Un fatto comune è certo che per decidere di queste alternative restano decisive le scelte degli attori nazionali delle relazioni industriali, e per altro verso della comunità. Ciò vale in particolare per il sindacato, che, se vuole essere un attore effettivo di questa trasformazione è chiamato a europeizzarsi veramente. Le recenti trasformazioni nella guida e nei poteri della Ces sono un passo importante in questa direzione. È essenziale che la Ces diventi quanto prima un vero e proprio centro rappresentativo sovranazionale con poteri di negoziazione. Sono convinto che la comunità possa avere un ruolo decisivo nel sollecitare la diffusione di modelli partecipativi in Europa, ma non credo che a tal fine sia praticabile (e neppure sempre utile) l'utilizzo di tecniche normative di armonizzazione come le tradizionali direttive. Questa prospettiva non è realistica finché vige l'attuale principio di unanimità delle decisioni in materia. Il superamento di tale principio è dunque urgente. In ogni caso esistono strumenti più duttili delle direttive tradizionali per far procedere il modello partecipativo e la democrazia industriale in Europa. Le autorità comunit;uie possono fornire guidelines procedurali per orientare le pratiche negoziali e partecipative transnazionali, come è stato prospettato anche da Delors. Possono inoltre usare delle proprie risorse per incentivare le pratiche conformi agli obiettivi fissati in sede comunitaria, e per sanzionare le pratiche devianti. In tal senso la stessa pratica e risultati del dialogo sociale dovrebbero essere sostenuti così da diventare più incisivi di quanto non siano ora. Quanto alle direttive in senso proprio due sembrano particolarmente rilevanti fra quelle ora in discussione. Una prima è la proposta di direttiva che promuove la costituzione in tutte le grandi aziende o gruppi operanti su ~-lLBIANCO l.XltHOSSO •fr•#Oid scala europea (con almeno mille dipendenti ed operante in almeno due Stati) di rappresentanze dei lavoratori, a livello di impresa, destinati ad essere gli interlocutori riconosciuti delle stesse imprese soprattutto nell'informazione e nella consultazione. L'importanza di questa direttiva sta nel fatto che rafforza gli attori delle pratiche consultive ed informative, stabilendone uno Statuto diffuso ed omogeneo in tutta Europa. Il suo iter resta, tuttora, fortemente ostacolato non solo dalla regola di unanimità richiesta per l'approvazione in sede comunitaria, ma altresì da diffuse resistenze degli imprenditori. Questi si oppongono fra l'altro al metodo che una materia così delicata come le rappresentanze dei lavoratori in azienda ed i diritti di informazione venga regolata in via autoritativa per legge. In realtà ciò non è del tutto vero perché i metodi di costituzione ed i poteri di questi rappresentanti sono affidati alla contrattazione collettiva fra le stesse aziende ed una delegazione contrattuale transnazionale. Da questo punto di vista appare originale il metodo seguito dalla direttiva sulla Società europea che entra nel merito degli aspetti istituzionali della partecipazione in azienda. La sua novità sta nel fatto che essa rinuncia del tutto ad imporre sia la partecipazione come tale nell'impresa, sia un determinato modello di partecipazione; evidentemente il legislatore comunitario si è ricordato che tutti i precedenti tentativi di imporre un modello, a cominciare da quello tedesco di cogestione, sono stati bloccati dalle resistenze, non sono degli imprenditori, ma degli stessi sindacati nazionali, che hanno opinioni e tradizioni alquanto diverse su questo tema. Per questo la Commissione propone non uno schema rigido di direttiva, ma uno Statuto di società per azioni contenente diverse possibili forme di partecipazione: una «organica» alla tedesca, una di partecipazione istituzionale, ma esterna agli organi della società, una di partecipazione per via contrattuale. La stessa adozione dello Statuto della Società europea è opzionale, e lasciata alla valutazione di convenienza delle parti, favorita peraltro con incentivi fiscali della comunità. E questo è in linea con l'esperienza europea anche più recente, la quale mostra una forte diversificazione di forme partecipative, quanto alle dimensioni, agli attori protagonisti, agli strumenti istituzionali (più complessi rispetto ai prototipi semplici, a cominciare dalla cogestione tedesca), ai contenuti, che si estendono dai temi dell'organizzazione del lavoro, all'introduzione delle nuove tecnologie, fino alla partecipazione, alla produttività ed alla stessa accumulazione capitalistica. L'accresciuta complessità della tipologia partecipativa fornisce nuove opportunità alla sperimentazione della democrazia economica e favorisce il superamento di contrapposizioni meramente ideologiche. Permette anche di affrontare il problema della istituzionalizzazione con meno preclusioni del passato. È importante ricercare un consenso a livello europeo sugli obiettivi e sul significato della partecipazione: verificare fra i partners sociali e politici la possibilità di una forma di impresa europea (diversa da quella proposta da altri sistemi mondiali) che si caratterizzi per avere al suo interno un'area di diritti di partecipazione dei lavoratori. Se si concorda su questi obiettivi, le forme in cui questi diritti si esprimono - informazione, consultazione, cogestione - possono essere diversamente articolate, a seconda delle circostanze e degli oggetti. Se è vero che il progresso di queste opzioni è decisivo a medio periodo il ruolo degli attori e delle autorità comunitarie; l'iniziativa nazionale resta decisiva a breve, per arrivare «preparati» alle scelte europee. Nel caso italiano è pregiudiziale la soluzione di problemi tipicamente nazionali: a cominciare dal riordino della nostra struttura contrattuale, e del salario; dalla formulazione di regole certe per la costituzione ed il funzionamento delle rappresentanze sindacali aziendali; dal superamento delle anomale condizioni del pubblico impiego. Sono i temi della trattativa interconfederale cosiddetta di giugno: non risolverli bene ostacolerebbe gravemente la nostra armonizzazione con l'Europa e precluderebbe la già difficile evoluzione del nostro sistema verso modelli partecipativi.
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