di cui l'Europa è ricca, essenziale per affrontare una competizione mondiale basata sulla qualità, piuttosto che sui bassi costi di lavoro. Qualche indicazione in questo senso si desume anche dalle tendenze recenti delle relazioni industriali nei principali paesi. La pratica della contrattazione collettiva a livello sia nazionale sia di azienda si riconferma all'inizio degli anni '90 sufficientemente consolidata come metodo prevalente di regolazione dei rapporti di lavoro. Tale relativa stabilità appare confermata per scelta convergente delle parti sociali e del potere pubblico. Questo ha confermato di mantenere un ruolo di rilievo, nonostante la parziale deregolazione intervenuta in diversi aspetti del mercato del lavoro, contribuendo a sostenere una pratica di gestione consensuale dei rapporti di lavoro. Permane altresì un certo controllo centrale sulle relazioni industriali di impresa (con la parziale eccezione della Gran Bretagna) che pure hanno acquisito rilevanza crescente a seguito di processi di decentramento verificatisi nel corso del passato decennio. Questi appaiono elementi di identità significatividei sistemi europei rispetto ai due maggiori modelli con cui è aperta la competizione mondiale: Usa e Giappone. Le tendenze alla convergenza sono particolarmente evidenti in alcuni settori avanzati ed omogenei (ad esempio le telecomunicazioni) nonché nelle politiche di alcuni grandi gruppi aziendali. Un orientamento comune riguarda l'utilizzo del metodo contrattuale e di forme di informazione-consultazione collettiva fra lavoratori ed impresa per affrontare in modo potenzialmente cooperativo le esigenze di accentuata flessibilità ed efficienza imposte alle imprese europee dalla concorrenza internazionale. Significativa al riguardo è la diffusione delle varie forme di flessibilità soprattutto funzionale regolate in modo congiunto nelle relazioni industriali d'azienda, riguardo ai diversi aspetti del rapporto di lavoro: dall'organizzazionedel tempo di lavoro, alla mobilità occupazionale interna (e talora esterna), alla configurazione di contratti di lavoro atipici, fino in un numero crescentedi casi alla retribuzione ~JJ- Bl.\\'CO l.Xn, nosso ■ ft•#hid Il •Gill-, maschera del Carnevale di Binche (Belgio) che viene correlata in vario modo agli andamenti aziendali e/o all'apporto dei diversi gruppi di lavoratori. Il trade-off riscontrato in questi diversi aspetti appare tipico della evoluzione delle relazioni industriali d'azienda e destinato a consolidarsi nelle aree forti del continente. Proprio su questo terreno anche sistemi caratterizzati da tradizioni di tipo contrattualistico rivendicativo, come quelli mediterranei (Italia, Francia, Spagna) sono stati sollecitati ad evolversi verso forme in senso lato collaborative. Tipicamente «collaborativa» è infatti l'intesa con cui le parti si garatiscono reciprocamente condizioni essenziali per svolgere il loro ruolo: al sindacato la stabilità dell'occupazione ed un certo grado di controllo sui processi di cambiamento; all'impresa margini accresciuti di flessibilità per affrontare le nuove esigenze produttive ed il consenso necessario ad introdurle. Cosi pure è emblematico che un simile trade-off collaborativo venga giudicato degno di appoggio dall'interlocutore pubblico, in quanto utile allo sviluppo di un sistema aziendale competitivo. Si può allora ipotizzare che esistano i presupposti specie in alcuni settori e gruppi di imprese per un rafforzamento degli orientamenti partecipativi delle relazioni industriali basati su un trade-off fra sicurezza dell'impiego e flessibilità funzionale, (piuttosto che un rafforzamento degli opposti orientamenti di gestione unilaterale dei rapporti di lavoro). Non sembra irrilevante che le prime ipotesi di relazioni industriali transnazionali avviate in settori diversi, da grandi gruppi multinazionali si siano tutte espresse nella forma di accordi consultativi, sia pure a tutt'oggi alquanto «leggeri». Fra i motivi di questi esperimenti, avviati in seguito a prevalente iniziativa manageriale, si è addotto l'interesse delle grandi imprese, chiamate a competere internazionalmente sul piano della qualità, ad ottenere dai dipendenti e dai loro rappresentanti il consenso necessario per il raggiungimento di tali obiettivi di qualità e per le trasformazioni organizzative e produttive necessarie a fronteggiare la sfida internazionale. Analoga trasferibilità sul piano transnazionale non risulta finora verificata per le forme di contrattualismo distributivo antagonistico, né per le pratiche conflittuali che tradizionalmente lo so-
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