Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 18/19 - lug./ago. 1991

,P.ll, BIANCO '-XILROSSO iiikliliit non mi soffermo, un tipico uso improprio del referendum, ovvero dello strumento tipico della democrazia diretta. Come si sa, nelle liberal-democrazie questi strumenti vanno usati per eccezione rispetto a quelli normali della democrazia rappresentativa. E questo perché da una parte la eterogeneità di composizione della società, dall'altra la complessità dei problemi da affrontare, sconsigliano normalmente il loro utilizzo. Potrebbero sia violare gli assetti pluralisti (con sempre possibili tirannie delle maggioranza}, sia condurre a soluzioni politiche inefficaci e inefficienti, pregiudiziali per l'interesse generale. Quell'interesse che, strapazzato fin che si vuole, resta l'unica giustificazione irrinunciabile delle costituzioni liberal-democratiche. Orbene, negli usi propri della democrazia diretta, il significato del voto è diretto, quasi inequivocabile. Tutto questo aumenta le capacità di rappresentanza del sistema politico e non ne delegittima gli assetti di fondo. Questo accade di norma, in due casi opposti: nei referendum a livello decentrato su oggetti particolari dove può essere utile e necessario contare le preferenze che si formano a partire dagli interessi individuali, nei referendum nazionali su grandi scelte coinvolgenti non solo aspetti di etica pubblica ma anche di moralità individuali. In entrambi i casi le scelte possono essere chiare, i risultati sicuri, i significati diretti. Per chi accetta queste premesse non sarà difficile giudicare come improprio l'uso del referendum nel caso delle preferenze elettorali. Qualcosa di simile si potrebbe dire sulle riforme istituzionali. Esse possono essere pensate e attuate in modo diretto, ovvero per risolvere problemi di rappresentanza o di funzionalità del sistema politico. Oppure possono essere pensate e praticate in modo indirett , ad esempio delle riforme rivolte a ridurre il controllo dei partiti sulla società civile attuate per ridefinire i rapporti di potere tra gli stessi partiti. O anche, ed è il modo più indiretto di tutti, delle riforme istituzionali attuate per porre rimedio al conflitto ed agli sconquassi causati dal dibattito stesso sulle riforme istituzionali. Questo è proprio quello che mi sembra succeda in Italia, con il contributo non irrilevante delle più elevate cariche dello Stato, Presidenza della Repubblica in testa. In entrambi i casi, uso improprio del referendum e riforme pensate non per risolvere S. Domenico protettore dei "serpentari" (Abruzzo) problemi, ma per fini indiretti, le capacità di rappresentanza di un sistema politico come il nostro, già abbastanza compromesso, possono essere ulteriormente danneggiate, contribuendo ad innalzare un già elevato, quasi insopportabile, grado di litigiosità. Ne abbiamo avuto subito una prova nella rissa che si profila nei giorni successivi al referendum sulle possibili nuove leggi elettorali. Una conseguenza che potrà pregiudicare quella condizione che appare come non rinunciabile per la realizzazione di un progetto serio di riforme istituzionali: un grado soddisfacente di consenso. È difficile pensare che un progetto di tal fatta possa essere pensato contro qualcuno, specie se questo qualcuno è un attore significativo del sistema politico. Certo nuove regole possono essere pensate contro un «invasore» esterno? Ma possono essere le Leghe ad assurgere a tale rango? Non crediamo, anche se la loro pressione è tutto tranne che irrilevante. Si ritorni, o si inizi, dunque a pensare alle riforme istituzionali in modo diretto, per la risoluzione di problemi. E si utilizzi la democrazia diretta con cautela, per eccezione, e in termini propri. La capacità di rappresentanza del sistema politico e la sua funzionalità potranno aumentare. E saranno tenuti sotto controllo i timori, non ingiustificati, per il cambiamento e le vischiosità penetranti del sistema e della classe politica. Coraggio, in fondo non è neanche mezzo secolo che il nostro sistema politico opera senza il meccanismo della alternanza.

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