pazionale e distributivo, appare alla luce dell'esperienza passata pressoché impossibile se non vi è un ampio coinvolgimento delle parti sociali, attraverso momenti di contrattazione collettiva «tripartita». I contenuti e le modalità di questi momenti di contrattazione, le cui conseguenze per il funzionamento dei mercati del lavoro possono essere molto i>JJ, 81.\:\CO (Xli.ROSSO •fr•ihid importanti, appaiono dipendenti anche dall'esigenza di non ignorare il secondo canale attraverso cui la realizzazione dell'Uem può influire sui mercati del lavoro nei paesi della Cee. Infatti, si può assumere, con gli sviluppi più recenti dell'economia del lavoro, che la struttura retributiva può influire sui differenziali di produttività nel medio/lungo periodo. D'altronde, l'esigenza di momenti di contrattazione collettiva «tripartita» appare rafforzata se si tiene conto di come le politiche fiscali e le strategie delle parti sociali possono interagire dal punto di vista del perseguimento di diritti sociali dei lavoratori che vadano al di là del diritto ad un'equa retribuzione, secondo quanto è previsto nella Carta comunitaria del 1989. Più Europa più democrazia La costruzione dell'unità europea, cui giustamente i cittadini italiani hanno assegnato da tempo, ed anche attraverso la loro massiccia e convinta risposta al referendum contemporaneo all'elezione del Parlamento europeo nel 1989, un grande valore, si trova oggi davanti ad un bivio cruciale. Abbiamo da scegliere tra la routine dei piccoli passi verso una più compiuta «Europa dei 12... + » (cioè più qualcuno che sarà via via ritenuto degno di entrare in questo club), sempre però ancora dominata dalla logica degli Stati nazionali tra loro più o meno confederati, o viceversa una decisa svolta in avanti verso una Unione dell'Europa democratica che ovviamente non può più partire dal carbone, dall'acciaio, dal nucleare, dalle sovvenzioni agricole, dall'economia o dalla comune moneta europea, ma che dovrà basarsi sul comune patrimonio storico e culturale, sui comuni valori dei diritti umani e della democrazia, oggi finalmente più liberi di affermarsi al di là ed al di qua della profonda ferita che aveva spaccato l'Europa, e su un comune progetto di solidarietà europea verso il resto del mondo, ed in particolare l'emisfero meridionale del pianeta. Da dove possono venire le forze capaci di immettere nuovi stimoli ed impulsi finora inediti nella costruzione europea? Potrà la Conferenza lntergodi Alexander Langer vernativa sull'unione economica e monetaria e quella contemporanea sull'unione politica segnare davvero una nuova strada? Per ora, purtroppo, non sembra proprio. Da dove allora potrà venire l'impulso determinante? Difficilmente dal Consiglio dei 12 governi, o da essi singolarmente presi, visto che obbediscono ad una logica di sovranità nazionale. Altrettanto vale, temo, per gran parte dei Parlamenti nazionali dei 12 Stati membri della Comunità (ma mi auguro di sbagliare per eccesso di pessimismo). Neanche la Commissione esecutiva della C.E., pur assai più vicina al ruolo di un governo europeo comunitario (nominato però dai governi nazionali, non certo da una rappresentanza democraticamente eletta dei cittadini d'Europa), è oggi in grado di rappresentare ed affermare un punto di vista che vada coraggiosamente oltre il miraggio del «mercato unico» che sembra poi essere la quintessenza del1'attuale progetto europeo. Sotto questo profilo, tra le istituzioni in campo, il Parlamento europeo - pur nella sua cronica carenza di poteri - può essere già più indicato a svolgere un ruolo propositivo e di intensa messa in mora delle procedure e delle logiche attualmente prevalenti. Ma non basta: oggi si sente il bisogno di una nuova spinta, una sorta di nuovo mandato che venga dai cittadini d'Europa che vogliono arrivare all'unità politica democratica • - - - - J7 del nostro continente ed al superamento degli Stati nazionali ereditati dal passato, in nome del superamento di vecchi steccati, ma anche di una domanda di maggiore e più reale partecipazione. Ecco dove si vedono entrare in campo due nuovi protagonisti, sinora (forzatamente) troppo assenti o marginali nella costruzione europea: i popoli dell'Europa centrale ed orientale, da un lato, e le autonomie locali - ed in particolare le regioni, i Uinder, le altre autonomie territoriali sovracomunali - dall'altro. Entrambi postulano un'Europa unita più convinta, più reale e più larga, ma anche più articolata e più democratica, più capace di accogliere e valorizzare le diversità e le peculiarità, più attenta a non diventare davvero una superpotenza economica (e in futuro magari anche politico-militare) telecomandata dagli eurocrati di Bruxelles e dai grandi gruppi finanziari. Alle regioni, alle autonomie, alle «democrazie locali» non serve, penso, una futura rappresentanza corporativa, né semplicemente dei terminali più efficaci tra centro e periferia. Esse esigono, al contrario, una costruzione europea veramente policentrica, capace di far convivere le diversità senza annullarle e di sviluppare la cittadinanza europea senza umiliare ed appiattire la cittadinanza regionale, in tanti casi ricca di valori ed identità cresciute ed af-
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