Il Bianco & il Rosso - anno II - n. 18/19 - lug./ago. 1991

gnano che ciò può avvenire in particolare con un'inflazione alimentata da spesa pubblica in deficit. 3. Nei limiti in cui si vogliono contenere le tensioni inflazionistiche riconducibili a spesa pubblica in deficit, nel presupposto realistico che i maggiori tassi di interesse reali non scoraggino l'indebitamento pubblico, si apre la seconda diramazione del canale: la via delle politiche fiscali antinflazionistiche. Questa via è dominata dalla preoccupazione di contenere gli effetti inflazionistici del deficit pubblico; assumendo che i paesi con maggiori tassi di inflazione siano quelli con maggiore e crescente deficit di bilancio pubblico, tale via guiderebbe verso una riduzione dei differenziali di inflazione. Essa consiste in misure restrittive della spesa pubblica e/o in misure tributarie che, attraverso maggiori entrate, influiscano in modo restrittivo, nei riguardi di componenti della spesa privata (in particolare, i consumi delle famiglie). Ne discenderebbero effetti negativi molto probabili sulla dinamica dell'occupazione. Ciò influirebbe sulla domanda di lavoro e quindi sui mercati del lavoro, in modo più o meno differenziato a seconda della presenza di aspetti di segmentazione dei mercati del lavoro, nei paesi in cui siano adottate le politiche fiscali restrittive. Le conseguenze negative per il lavoro potrebbero essere contenute se le politiche fiscali restrittive fossero adottate con un'attenta selezione delle componenti di spesa pubblica e privata da controllare, con adeguata considerazione degli effetti provocabili sulla struttura dell'occupazione, e soprattutto se le politiche fiscali restrittive, nei paesi con maggiori tensioni inflazionistiche, fossero accompagnate da efficaci politiche strutturali dell'occupazione e del lavoro in tali paesi, aiutate anche da interventi esterni, come è in linea di principio previsto nella progettazione della seconda e specialmente della terza fase dell'Uem. Ovviamente, le conseguenze negative per il lavoro risulterebbero ingiustificate, nei limiti in cui le tensioni inflazionistiche fossero prevalentemente riconducibili a fattori diversi dalla crescita della domanda di beni e servizi. 4. Qualora i maggiori tassi di inflazio- ..l).!-1.IU\:\CO lXll.llOSSO •h•Wiid ne in dati paesi fossero ricondotti in misura decisiva alla dinamica di componenti del costo di produzione, la terza diramazione del canale, del contenimento dei differenziali di inflazione (cioè la via delle politiche dei redditi antinflazionistiche) risulterebbe preferibile. Si tratta di una via diretta a controllare la dinamica di specifiche componenti di costo che, alla luce delle esperienze fatte nei passati decenni, coinvolge inevitabilmente anche un'attenta considerazione dei prezzi e dei tassi di interesse (in direzione opposta però a quella suggerita dalle politiche monetarie antinflazionistiche). Gli sviluppi delle analisi postkeynesiane, nonché degli studi istituzionalistici sui sistemi produttivi e sui mercati del lavoro, insegnano che l'efficacia antinflazionistica di tale via e la minimizzazione delle conseguenze negative per il lavoro che ne possono scaturire (soprattutto in termini di distribuzione dei redditi) dipendono dalla capacità di perseguire complessi «package deal» che controllino la dinamica di varie componenti dei costi di produzione (e non soltanto del costo del lavoro) e di taluni prezzi «amministrati» dei prodotti. Se, invece, le politiche dei redditi finiscono, come è normalmente avvenuto, col concentrarsi essenzialmente sui redditi da lavoro, tendono ad influire sulla distribuzione dei redditi a danno del lavoro con effetti sui mercati del lavoro in termini di struttura salariale nei paesi in cui tali politiche siano adottate e possibili effetti in termini di offerta di lavoro e di mobilità. Nei confronti di politiche dei redditi che finiscono col cercare di controllare soltanto la dinamica salariale, si può tra l'altro obiettare che, anche eventualmente considerando il costo del lavoro incisivo nei riguardi della dinamica dei costi e dei prezzi, occorre tenere presente che: a) il costo monetario del lavoro ha importantissime componenti non salariali, in parte rientranti nella contrattazione collettiva, in parte dipendenti dalle strategie di politica fiscale; b) è iJ costo del lavoro per unità di prodotto e non il costo monetario di per sé ad assumere rilievo, dal punto di vista dell'inflazione eventualmente indotta dai costi, per cui la dinamica della produttività del lavoro gioca un ruolo decisivo. Quindi, da un lato il perseguimento di politiche dei redditi, anche se si concentra essenzialmente sui redditi da lavoro, finisce col coinvolgere rilevanti aspetti di politica fiscale, dall'altro lato riporta al secondo canale attraverso cui la realizzazione dell'Uem può influire sui mercati del lavoro: quello della spinta verso differenziali di produttività nettamente maggiori nei paesi con durevoli maggiori tensioni inflazionistiche. Del resto, il coinvolgimento di altri aspetti delle strategie di politica economica appare ancor più ampio nel caso di politiche dei redditi che non si concentrino soltanto sui redditi da lavoro. Infatti, la considerazione dei redditi da capitale e delle rendite coinvolge strategie di politica monetaria e di politica fiscale (con riguardo, ad esempio, ai tassi di interesse ed al trattamento tributario di tali redditi). Inoltre, una coordinata politica dei redditi e dei prezzi coinvolge elementi importanti di politica fiscale, con riguardo all'incidenza degli oneri tributari sulla struttura dei costi di produzione, nonché ai prezzi «amministrati» da parte dei pubblici poteri. 5. Ne discende che è difficile isolare le politiche dei redditi dalle politiche monetarie e fiscali. Sembra inevitabile che le tre diramazioni del canale antinflazionistico preso in considerazione debbano essere considerate insieme, nei limiti in cui si voglia conseguire un efficace contenimento dei differenziali di inflazione, accanto ad una minimizzazione delle conseguenze negative per i lavoratori. Bisogna però precisare che le esigenze di coordinamento strategico delle tre direzioni suggeriscono strategie articolate che, per quanto concerne la politica monetaria non comportino inevitabilmente un aumento medio dei tassi di interesse reali nei paesi con maggiori tensioni inflazionistiche e, per ciò che riguarda la politica fiscale, faccia affidamento più su misure selettive che non su misure genericamente restrittive. La realizzazione di strategie così articolate e complesse, volte nello stesso tempo a contenere le tensioni inflazionistiche e a garantire che ciò non torni a danno dei lavoratori sul piano occu-

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